Ilsussidiario.net – Padre pedofilo a Napoli / Cosa fare quando non troviamo il bene che cerchiamo?
A Napoli, un papà di 44 anni ha violentato per un anno il figlio di 11. Poi diffondeva in rete le immagini proponendo via web il ragazzo ad eventuali pedofili. Gli uomini della polizia municipale di Napoli, coordinati dal capitano Sabina Pagnano, hanno finto di essere interessati a un incontro, si sono presentati all’appuntamento e hanno arrestato il 44enne. In genere, quando inizio a scrivere un articolo parto dalla notizia, poi cerco cerco altre versioni, altri punti di vista, altri link e alla fine individuo una chiave di lettura – li chiamo “paletti” – e poi scrivo. Stavolta no. Stavolta i paletti li userei come arma contro questo signore. Stavolta leggo e rimango a fondo. Come se la macina al collo di cui parla il vangelo per chi “scandalizza uno di questi piccoli” (Mt 18,6), ce l’avessi io. Ci sono reati che non sono da codice penale e non sono da inferno, perché sembra tutto troppo poco. Impossibili da cancellare, da riparare. Rimani a fondo. Stavolta non cercherò altri link. Non voglio altre letture del caso. Cosa si può aggiungere? Cosa c’è da capire, comprendere? Scusare? Impossibile. Questo padre – ma si può ancora usarla la parola padre? – sembra non provenire da una situazione di particolare degrado. Non siamo in Thailandia, non è un trafficante di minori, non è uno sbandato. Almeno nell’articolo ANSA queste cose non si dicono. Ha moglie e due figli. Poi ha un computer, una videocamera e una connessione. Cosa ci faceva l’ho già raccontato. Siamo ancora tra umani quando si violenta il proprio figlio e lo si filma e lo si fotografa in pose oscene per poterlo vendere on line? Esistono parole per dire questo? Avete mai visto un bambino devastato, stravolto, shockato? È molto diverso da un bambino che soffre e piange. Molto diverso. Avete mai visto un bambino devastato, stravolto, shockato da quello che ha subito in famiglia? Avete mai riprovato a rimettere in piedi un bambino così? Avete mai aspettato l’ora di andare a dormire con un bambino così, con un bambino che ha subito tutto e ha paura che arrivino la notte e il buio? Spero che nessuno sappia cosa rispondere.
Il giornalista che scrive la notizia, si sbaglia e nel medesimo articolo la racconta più volte. Forse non l’ha fatto apposta. Io credo sia la reazione normale. Si può scrivere una notizia così solo in due modi. Scrivi il titolo e poi: non ho parole. Fine dell’articolo. Oppure ripeti la notizia. Perché non ce la fai a capirla. È unta. Scivolosa. La nostra grammatica interiore non ha parole, e un buon articolo è solo quello che unisce la grammatica esteriore a quella interiore. Ma qui c’è troppa melma, non sai dove afferrare.
Alla fine, quel qualcosa di umano per riuscire a scrivere, lo trovo nei poliziotti. Ci sono persone che lavorano con le mani nello schifo della nostra umanità, rovistano nei nostri cuori neri e non si fermano finché non arrivano al nome. Finché non arrivano al volto e trovano il lato buono di questa notizia. Qual è? Non è una cosa, non è un pensiero, è un chi, è un bambino di 11 anni. Si sta liberando di tutto, dice l’articolo. Ecco come la prendo questa notizia: con le braccia e gli occhi di un bambino. Ci aspetta lui in fondo alla pagina.
La cosa buona di questa notizia sono le persone che hanno liberato il bimbo e che cercheranno di curarne le terribili ferite. Sì, in Italia, a Napoli, non ci sono solo pedofili. Ci sono anche tante persone che hanno competenze, mezzi, cuore ed esperienza per aiutare le famiglie, i bambini, gli adulti, vittime dirette e indirette di quel mostro a cento teste che è la pedofilia. Denunciamo. Parliamo. Andiamo nei centri anti abuso. Confidiamoci. Senza vergogna. Se siamo vittime, non dobbiamo rimanere soli, isolati. Parlare è liberarsi. Affidarsi è salvarsi. Non siamo soli.
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