ilsussidiario.net – EPIFANIA/ Perché l’umiltà dei Magi non ha bisogno dei botti di Capodanno?
L’Epifania vede l’arrivo dei Re Magi. Nella Bibbia vengono da lontano, nel nostro salotto vengono di mobile in mobile. Li abbiamo spostati all’ultimo, per l’ultima scena natalizia, quella che fa vedere – guarda un po’ – quanto è strano il mondo, all’incontrario.
Chi sa, chi conosce, chi ha letto le scritture, chi le ha interpretate e insegnate. Chi ha il potere, i messaggeri, i mezzi, per sapere e indagare – Erode, gli scribi e i capi del popolo – proprio questi, nel presepe non ci sono. Sono rimasti nei loro palazzi. Nelle loro sinagoghe. Nella reggia. Ancora studiano. Ancora indagano. Ancora danno ordini. Ancora aspettano. Sanno tutto, ma vogliono informarsi ancora: informatevi accuratamente, fatemelo sapere (cfr Mt 2,8). Da dentro le loro case, i loro palazzi, le loro sinagoghe, sanno tutto, tutto spiegano, e dicono: tu si, tu no, tu che ne sai? a te chi te l’ha detto? chi sei per dirlo? dove vai? da chi vai? dillo a me, dillo a noi, torna a dircelo.
Strano questo mondo dove chi dovrebbe essere sentinella, non va a vedere, ma manda qualcun altro. Che chi dovrebbe essere l’eletto non sente la voce di chi lo elesse e non la riconosce. Che chi è venuto per tutti, ad amare tutti, a farsi come tutti, uno ad uno, atteso da tutti, arrivi e trovi un’accoglienza povera e forestiera.
E invece arrivano a trovarlo – a essere presenza – chi lo cercava da lontano, chi lo conosceva solo per sentito dire, seguendo i segni del cielo o la luce delle stelle. Da solo, nessun libro – per quanto sacro -, è mai servito a muovere il cuore di nessuno.
Chi non aveva casa, come i pastori, o una patria lontanissima e forestiera, si è fidato, ha detto sì, vado, mi lascio guidare, mi lascio indicare strada, luogo, mezzi, tutto.
Si trova Dio non con le risposte ma con le domande. Non con le certezze ma con lo stupore. Non con quello che so ma con quello che mi viene svelato.
Eccola, dunque, è arrivata l’Epifania. Ma non è come i botti di capodanno e non basta stare dietro un vetro al calduccio per goderne.
A Natale, Dio si è fatta Presenza, e se non vai di presenza, se non esci, se non ti pieghi, se non ti inginocchi, non vedi nulla, non capisci nulla. Se rimani a casa non trovi nulla perché non si può credere con gli occhi e il cuore di un altro. La Presenza richiede presenza. Epifania dice una cosa tremenda, ed è che non c’è nulla di peggio di una lezione sul senso salvifico del dolore, sull’essere forti nella debolezza citando pure s. Paolo, di dire che troverai rifugio tra le braccia di Dio, consolazione nella preghiera, ma poi non essere presenza. Sì, questo è peggio che dire che il dolore non ha senso, che san Paolo si sbagliava e che la preghiera non consola perché Dio non esiste. Non perché le cose dette prima – la lezione ecc. – non siano buone o non siano vere, ma perché non si possono fare le cose bene senza il bene dell’esserci. Della presenza.
Ora che stiamo per mettere via le statuine del presepe, guardiamole per un’ultima volta. Il presepe è affollato di gente che c’è, non di gente che parla. A Betlemme c’erano poche parole e tante persone: oltretutto arrivate solo perché invitate da altri. Regnum Dei intra vos est, non vuole dire che Dio è “dentro” di noi, ma che è “tra” di noi. Che la presenza di Dio è tra le nostre notti affollate di pensieri fuori luogo; tra di noi, assonnati come pastori, ma che di pensieri sapienti non ne sappiamo nulla ma che sappiamo solo inginocchiarci; tra di noi che, come i Magi, quello che abbiamo di più prezioso – l’oro, l’incenso e la mirra, delle nostre vite – sappiamo che va solo donato, va solo messo ai piedi delle cose piccole e fragili e splendenti che non hanno trovato spazio se non in queste notti buie e povere.
L’Epifania è l’ultima celebrazione di una notte in cui Lui ha portato la luce perché ha portato sé stesso. I discorsi li comincerà a fare a trent’anni. Per ora sta lì con noi. A trentatré anni ci darà il comandamento dell’amore, ma ora, nessuna parola, nessun comandamento ma solo Lui, in persona, da amare.
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