L’Huffington Post – Il senso civico sconosciuto e la chiesa cattolica
Il 30 novembre a Torre Annunziata un bambino di cinque anni è morto investito da uno scooter guidato da un ragazzo di diciassette anni senza patente. La madre del piccolo, travolta anche lei dal motorino, è ricoverata all’ospedale. Il giovane è stato denunciato dai carabinieri per omicidio colposo e guida senza patente.
Quando andavo a scuola avevo un compagno che veniva da quelle zone e per lui, non ho dubbi, la notizia sarebbe stata solo la morte del bambino e non il diciassettenne che guidava senza patente. Perché lì – si vantava – era normale guidare così. Però io non vorrei cadere nel luogo comune nord-sud ma prendermi le mie responsabilità da prete e chiedermi cosa dico e come vivo. Perché se è vero che l’Italia ha radici cristiano-cattoliche vuol dire che in qualche modo le mie parole e i miei fatti vanno a finire nella pancia profonda del paese. E non importa se quel ragazzo frequentasse o meno la chiesa perché la cultura, le tradizioni, i modi di pensare, non si perdono in pochi anni. L’idea che i piemontesi hanno invaso il sud è sorella di chi va sull’Aventino per non collaborare con uno stato che toglie il potere temporale alla chiesa, e allora la legalità civile di quel paese mi interessa poco. Io, prete, non posso chiudere gli occhi sul fatto che nel nord Europa e negli Usa, dove la matrice religiosa è quella protestante, l’attenzione alla legalità sia infinitamente maggiore che da noi.
Li sento i commenti dei miei amici terrorizzati perché in America finisci dentro per un limite di velocità infranto, e mi sa che questi sono matti. Dico America ma penso a quella che parla inglese, perché dal Messico in giù è peggio che da noi. Ed eccola lì la linea di demarcazione: il paese a matrice cattolica ha tanti pregi ma non quello del senso civico.
Sto parlando della raccolta differenziata, di raccogliere la cacca dei cani, del pagare i biglietti dell’autobus, rispettare le file al supermercato, lo scontrino dal tabaccaio, mettere in regola la colf, pagare le tasse, non prendere due ore di malattia per andare a fare un documento in Comune, la ricevuta dal parrucchiere, l’affitto in nero, falsificare le giustificazioni dei figli. Ecco l’elenco dei grandi assenti nelle mie prediche.
Me lo aveva detto Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium ma io non ci avevo fatto caso: che è sbagliato dare troppa importanza alla temperanza e poca alla carità e alla giustizia, e che tutto si gioca sulla “frequenza con la quale si menzionano alcun temi e negli accenti che si pongono nella predicazione” (E.G. 38).
Tanto per chiarire, gli esempi elencati sono tutti esempi di giustizia e carità e d’altra parte, quando il Papa dice di non parlare troppo di temperanza, si riferisce non alla dieta ma al sesso. Non so perché, ma a me prete, se devo fare un esempio di peccato, viene subito in mente il sesso: omosessuale, adulterino, adolescenziale, virtuale. In tutte le salse e condimenti. Quindi la tragedia di Torre Annunziata va ad interrogare me. Perché la chiesa cattolica è, per credenti e no, una grande agenzia valoriale. E la sottovalutazione del bene pubblico non so da dove venga, ma viene da lontano.
Poco tempo fa ho parlato con un signore, italiano, che ha passato la vita in Africa per amore di Dio. Gli ho chiesto come avrebbero affrontato in quel continente il problema ecologico della ferrovia che per duemila chilometri attraverserà la foresta equatoriale. Mi ha detto che non esiste nessun problema ecologico. Che l’ecologia è una malattia degli europei (lui si considera africano). Non mi sono scandalizzato. All’epoca in cui il mio amico girava senza patente, il lago di Como – la mia città – diventava viola, blu, verde, a seconda delle ore in cui lavoravano le tintorie tessili. E le cose sono cambiate grazie a Bruxelles non grazie al Vaticano.
Cambierò le prediche e cercherò di dare buon esempio. Porterò il sacchetto in mano ancora per cento metri fino al cassonetto più vuoto invece che lasciarlo a terra accanto a quello pieno sotto casa. Raccoglierò gli escrementi del cane, differenzierò la raccolta dei rifiuti, farò un giro in più con la macchina, tre giri in più, prima di mollarla con il muso su tre quarti del marciapiede. Lascerò pulito il bagno pubblico, raccoglierò la carta quando non faccio centro col cestino, spegnerò il cellulare al cinema. Lo farò perché sono opere di giustizia e di carità. E sono robe per la civiltà, non solo per la domenica nell’omelia della messa. Soprattutto, ci crederò che le cose possono cambiare e avrò fiducia nel prossimo. Perché se non ci credo che tu arriverai a raccogliere la cacca del tuo cane, che ti metterai il casco, che rispetterai i pedoni sulle strisce e le file al supermercato, se penso che non lo farai, allora mi farò furbo anch’io. Io, prete, le parole giuste ce le ho. Basta pensare che, proprio a Napoli nel 1990, Giovanni Paolo II diceva: “Non c’è chi non veda l’urgenza di un grande recupero di moralità personale e sociale, di legalità. Sì: urge un recupero di legalità“. Mi manca solo di passare dal parlare al fare. Però non basto io. Ci vuole il noi.
Qui il link all’Huffington Post