
Lettera dell’insegnate di Moncalieri Adele Caramico, dei figli e dei colleghi
Subito dopo aver scritto su L’Huffington un articolo in cui mi rallegravo con le dichiarazioni dell’arcivescovo di Nosiglia ho ricevuto diverse richieste – a volte anche parecchio insistite – affinché pubblicassi le lettere che di seguito potete trovare. Ho sempre risposto di non avere nessuna difficoltà a farlo ma che chiedevo a chi me lo diceva di essere essi stessi a scrivere sul blog una Lettera (nell’occhiello della homepage si spiega cosa siano). Purtroppo nessuna delle persone cui mi sono rivolto ha voluto cimentarsi nel compito, non so se per mancanza di tempo, timidezza, avversità al lavoro che si sta facendo da questo blog, o più semplicemente per non dare la faccia in prima persona. A questo punto mi faccio carico io delle loro richieste, e lo faccio perché voglio con questo confermare di aver solo voluto, con il mio articolo, sottolineare la bontà dell’intervento dell’arcivescovo di Torino. Grazie.
_____________
Lettera dell’insegnante Adele Caramico
Caro direttore,
sono l’insegnante di religione dell’Itis Pininfarina di Moncalieri della quale – suo malgrado – si è molto parlato nei giorni scorsi per presunte frasi omofobe che avrebbe pronunciato in classe. Sinora ho preferito tacere per evitare ulteriori strumentalizzazioni. Oggi vorrei approfittare dell’amicizia che mi lega ad “Avvenire” per spiegarle per filo e per segno come sono andate realmente le cose. Venerdì 31 ottobre 2014 durante l’ora di lezione nella classe III A/Bio, ho chiesto agli alunni di fare alcune riflessioni scritte su come le problematiche bioetiche possano influenzare la nostra società. Immediatamente dopo, un alunno mi ha posto una domanda sull’omosessualità, tema sul quale, pur non essendo strettamente inerente alla lezione, ho ritenuto opportuno rispondere, vista anche l’insistenza con cui mi veniva chiesto un giudizio in materia. Alla domanda su cosa ne pensassi dell’omosessualità ho ripetuto più volte che ho amici gay e che con loro ho un tranquillo e profondo rapporto di amicizia che dura da anni. Ho sottolineato più volte che la persona umana, indipendentemente da come essa sia, va rispettata sempre. Si è quindi innescata con quell’alunno una discussione sull’argomento. Rispondendo a una domanda specifica, ho spiegato che le persone omosessuali che vivono con sofferenza la loro condizione e desiderano cambiare – solo queste, e non altre categorie di persone omosessuali soddisfatte del loro orientamento – talora si rivolgono a terapisti che, con un accompagnamento insieme psicologico e spirituale, possono venire incontro al loro desiderio. Conosco la letteratura in materia e so bene che si tratta di teorie controverse e non da tutti accettate né nella comunità scientifica né nel mondo cattolico. Mi sono limitata a segnalare la loro esistenza. E per completezza ho raccontato loro che in merito al problema molto dibattuto dell’origine dell’omosessualità esistono due teorie, una che la vede come un dato naturale, l’altra che la riconduce a problemi e traumi subiti di solito durante l’infanzia. Vi è anche chi sostiene che non vi sia una spiegazione univoca, ma le due teorie spieghino l’esistenza di due diverse categorie di omosessuali, di cui la prima vive l’omosessualità così com’è in modo naturale, mentre la seconda la vive con disagio. Conoscendo bene le controversie in materia, mi sono premurata di sottolineare – più di una volta – che in ogni caso l’omosessualità non è una malattia o una patologia. Su quest’ultima teoria (che non è mia) ho raccontato la vicenda realmente accaduta di un giovane medico che aveva superato, attraverso un adeguato percorso psicologico, il disagio che provava per le persone del sesso opposto. Questi argomenti, comunque, più che essere oggetto di dibattito con tutta la classe, sono stati trattati in un dialogo fra me e un solo allievo, e sinceramente non mi è sembrato che il resto degli studenti li seguisse con molta attenzione. Il dibattito tra me e l’alunno che aveva innescato la discussione con la domanda, però, si è svolto in maniera assai serena e pacata. Oltretutto, quello stesso alunno mi ha rivelato di essere omosessuale e mi ha chiesto cosa vedessi di sbagliato in lui. A una simile domanda io ho risposto che per me lui è come tutti quanti gli altri, io non l’ho mai trattato in modo differente e non sapevo nulla della sua omosessualità fino a quel momento. Ho anche fatto una battuta, quando lui è sembrato sorpreso del fatto che io non lo sapessi, dicendogli scherzosamente: «Mica chi è omosessuale lo porta scritto con un timbro sulla fronte!». Gli ho anche chiesto se per caso lui si fosse sentito trattato da me in maniera diversa, e lui ha risposto di no. Io ho, poi, continuato affermando sempre lo stesso principio per cui tutti vanno rispettati indipendentemente da come sono. A quel punto, però, l’alunno ha fatto una domanda secondo me provocatoria, chiedendomi: «Lei allora rispetterebbe pure Hitler?». Ho anche portato come esempio personaggi della letteratura, e della cultura in generale che si sono dichiarati omosessuali o anche insieme etero e omosessuali, che a prescindere dalla loro natura hanno dato molto dal punto di vista culturale, e scritto anche opere molto belle che si studiano pure a scuola. Un altro allievo, poi, ha fatto la seguente affermazione: «Ma il Papa ha benedetto le nozze gay», alla quale ho risposto di non mettere in bocca al Papa cose che lui non ha mai detto! Per quanto riguarda le adozioni da parte di coppie gay ho manifestato la mia perplessità (perplessità condivisa dal Magistero della Chiesa), pur ritenendo che magari piuttosto che tenere dei bambini in istituti senza l’affetto di alcun genitore forse starebbero meglio con due donne perché vedo nella stessa natura femminile una propensione forte alla maternità. Non ho, peraltro, espresso nessun giudizio negativo sulle coppie di uomini omosessuali che desiderano adottare e allevare bambini. Premetto che, essendo una docente che insegna Religione Cattolica, io aderisco pienamente al Magistero della Chiesa Cattolica, che ci invita ad accogliere le persone omosessuali con «rispetto, compassione e delicatezza» e con papa Francesco ci chiede di non giudicare le persone in quanto tali. E più volte io ho ripetuto questo concetto, affermando che gli omosessuali non vanno giudicati, ma vanno accolti così come sono. Ho anche detto che anche nella Chiesa ci sono persone omosessuali e che vengono trattate come tutte le altre, senza alcun discriminazione. Lo stesso Magistero distingue però in modo molto accurato fra le persone, che non vanno giudicate, e i comportamenti, che per evitare forme di relativismo etico possono e devono essere oggetto di un giudizio morale, e le leggi, che non dovrebbero equiparare il matrimonio tra un uomo e una donna ad altre forme di unione, come hanno ribadito ancora recentemente il Sinodo e i vescovi italiani. Questo è ciò di cui ho parlato, rispondendo a domande dei miei studenti. La saluto cordialmente.
Adele Caramico
Risposta del Direttore
Grazie, cara professoressa Caramico, della sua serena e precisa ricostruzione estremamente utile per chiarire i termini di una vicenda attorno alla quale si è imbastito da parte di alcuni un sommario e persino indecente processo mediatico a lei e all’insegnamento della Religione cattolica. Certo, anche per noi non è stato facile ricostruire – per carenza di fonti e sovrabbondanza di interpretazioni interessate – che cosa fosse accaduto nella sua classe. Ma, anche se da giornalista non approvo, posso capire perché lei si sia tenacemente e sdegnosamente sottratta ai taccuini e ai microfoni dei cronisti dopo aver visto con amarezza e stupore che cosa era stato pubblicato in una serie di articoli precipitosi e inesorabilmente “colpevolizzanti” – all’insegna dell’omofobia – nei suoi confronti. La verità, cara professoressa, è che esistono molti modi per fare violenza. Credo che lei, donna e insegnante, abbia dovuto subire uno dei peggiori e dei più maliziosi: quello attraverso il quale si monta un caso per mettere alla gogna ingiustamente una persona, capovolgendo la sua vita, facendo una caricatura cattiva delle sue parole, cercando persino di negarle la libertà di presentare fatti e di esprimere opinioni. Temo che nessuno le chiederà scusa per l’agguato che ha sopportato e per il sovrappiù di contumelie e di metaforiche “botte” che le sono state riservate, spero le sia un po’ di conforto la stima mia e dei miei colleghi e il nostro cordiale saluto.
Lettera dei figli – «Non c’è patria, dove non c’è libertà» Ma non ci faranno diventare stranieri
Caro direttore,
la ringraziamo per aver dato voce anche a nostra madre e a tante persone che le hanno voluto dimostrare la loro solidarietà. Siamo sempre più sgomenti da ciò che sta succedendo da qualche giorno sui giornali e in particolare alla nostra famiglia. Siamo allibiti dal modo in cui alcune testate, pur di fare uno “scoop” e sperando di aumentare almeno per un po’ i propri lettori, sono ricorsi a bugie, frasi tagliate ad arte e titoli altisonanti. Senza parlare poi dei commenti e della mancanza di carattere dimostrata da molti che ci attorniavano, che magari conoscevano molto bene nostra madre e che hanno preferito tacere, facendo prevalere una sorta di omertà. Dobbiamo ringraziare pubblicamente però tutti quelli che, conoscendo nostra madre, l’hanno difesa, e coloro che, pur non avendola mai conosciuta, sono stati capaci di vedere al di là di certi “titoloni” e le hanno espresso apertamente sostegno. Siamo arrivati al punto in cui, nel Paese in cui viviamo, non è più possibile affermare una delle verità plausibili riguardo a un argomento discusso anche dalla comunità scientifica internazionale – le diverse valutazioni sulle radici dell’omosessualità – senza incorrere in accuse da chi ne sostiene un’altra, questa però pienamente rispettosa del politically correct a senso unico… Sottolineiamo “Paese in cui viviamo” e non “Paese cui apparteniamo” perché dove non vi è libertà non v’è patria. La libertà di parola e di espressione è uno dei cardini dello Stato di diritto, sancita dalla stessa Costituzione (art. 21), ed essa può (e va) limitata solo se offensiva nei confronti di un altro individuo, mancando tale condizione, il fatto si è tradotto in una vera lesione: lesione al diritto di parola e alla dignità di nostra madre. Ringraziamo quanti hanno fatto vera informazione, raccontando come si sono svolti realmente i fatti. Ma, ci creda, siamo stanchi di vedere l’informazione distorta e siamo indignati anche dal fatto che qualche politico o qualche altra nota personalità cavalchi l’onda della diffamazione pur di “accalappiare” una fetta di società o ancor peggio nuove adesioni e iscrizioni di giovani che ancora non hanno la piena coscienza delle proprie scelte. Noi siamo fieri dei nostri genitori che ci hanno sempre insegnato a guardare ogni aspetto della vita, che ci hanno sempre insegnato la tolleranza e il rispetto di ogni persona non per la sua posizione, ma perché essere del tutto uguale a noi.
Esprimiamo pubblicamente la nostra indignazione verso tutti coloro che avrebbero potuto fare chiarezza, ma non hanno fatto nulla, e, soprattutto, verso la cattiva informazione, mezzo troppo spesso utilizzato a soli scopi politico-ideologici. Ci auguriamo di poter tornare a essere fieri anche del Paese in cui viviamo. La salutano cordialmente i figli di Adele Caramico.
Mariachiara, Jeshua e Gabrielamaria Stenta
Risponde il direttore
Rispondendo a vostra madre, cari amici, il 5 novembre scorso scrissi: «Temo che nessuno le chiederà scusa per l’agguato che ha sopportato e per il sovrappiù di contumelie e di metaforiche “botte” che le sono state riservate». Naturalmente mi riferivo a coloro che hanno “potere” di dire, di scrivere e di fare nella scuola e nel dibattito pubblico e che in questa vicenda non hanno trovato le parole o le hanno trovate sbagliate. Quello che temevo si è realizzato, purtroppo, visto che nessuno dei precipitosi e sentenziosi signori che hanno straparlato e insolentito come «omofoba» la professoressa Caramico, insegnante di religione all’Itis di Moncalieri, si è degnato di fare ammenda. Ma è accaduto anche quello che speravo. Tanti tra coloro che di “potere” ne hanno poco o punto si sono fatti, invece, sentire. Anche dalle colonne di questo giornale, che nel concerto della stampa italiana un suo posto non marginale ce l’ha, eccome. Credo che tutto ciò dovrebbe farvi ripensare uno, solo uno, dei passaggi della vostra bella e giustamente indignata lettera: quando, in sostanza, scrivete di sentirvi “senza patria”, legando l’appartenenza a essa al riconoscimento della vera libertà della persona e alla laica venerazione della sua dignità. Vorrei riuscire a dirvi, cari amici, che non si appartiene a un’entità, si appartiene a un popolo. Cioè a una comunità civile, che – proprio come voi dite o fate capire – ha valori e li rispetta, rispettando i suoi propri membri. Quella è la “patria”, non un sistema amministrativo e burocratico o, addirittura, un sistema mediatico capace, purtroppo, di storcere e distorcere la vita e le parole della malcapitata o del malcapitato di turno. In questo senso, nonostante tutto, state avendo prova di averla una “patria”, anche qui, in Italia, e con quello che pensate e sapete affermare dimostrate di esserne degnissimi e combattivi cittadini, non solo “abitanti”. Non dimettetevi, neanche idealmente. Immischiatevi, come ci suggerisce di fare il nostro Papa, per umanizzare sempre più il mondo a partire da questo nostro Paese. Nel quale qualcuno vorrebbe farci sentire lontani ed estranei. E un po’ è vero, perché da cristiani sappiamo di appartenere soprattutto a un cammino, non a un solo luogo. Ma quelli che ci vorrebbero “stranieri in patria” stiano pur certi che non lo siamo e non lo diventeremo. Ricambio con gioia il vostro saluto.
Lettera di solidarietà di due colleghi – Noi prof e un clima che ci intimorisce
Caro direttore,
siamo due colleghi della professoressa Caramico presso l’Itis
Pininfarina di Moncalieri. Vogliamo esprimere pubblicamente la nostra solidarietà alla collega, dopo averlo fatto di persona, per il modo con cui è stata trattata. Non entriamo nel merito della questione, perché su questo c’è già stato ampio dibattito. Ci preme evidenziare il clima che si sta creando nella scuola dove, dopo un primo momento di smarrimento, la reazione di molti colleghi è stata quella di non voler più esprimere le proprie opinioni e di limitarsi a tenere le lezioni in modo più anonimo possibile. Si ha sempre paura di venire fraintesi o addirittura volutamente travisati e poi denunciati. E questo non solo nelle materie umanistiche, dove il dibattito è parte integrante dell’insegnamento, ma anche in quelle tecniche, come quelle che insegniamo noi. Così la scuola corre il rischio di ridursi a luogo di semplice nozionismo e addestramento e non di educazione.
Cesare Iacobelli e Velia Marrone
Articolo di Avvenire: Itis di Moncalieri – Solidarietà all’insegnante
La solidarietà cresce. In silenzio, tra i distinguo, ma cresce. L’Itis Pininfarina di Moncalieri è come una piccola città. E in una città par di entrare, salendo le scale della scuola tutta vetri e metallo arrugginito, visto che ogni mattina a varcare le porte ci sono quasi 1.500 studenti e 160 insegnanti. Sotto la pioggia battente si discute animatamente del grottesco derby: «Io dico che la prof non ha fatto niente. Dietro c’è un complotto gay». «No, è lei che è una bigotta, il Papa non la pensa così». E palla al centro della mischia ideologica. Una prof passa vicino e scuote la testa: «Questa storia dell’insegnante omofoba ci ha scocciato davvero».
Omofobia, il tema è di quelli che scottano. Pensare che la discussione finita su tutti i giornali a sapienti stralci, quella tra la docente di religione Adele Caramico, trent’anni di insegnamento alle spalle, e il sedicenne gay che sarebbe stato additato come ‘malato’, la mattina del 31 ottobre era cominciata così: «Prof, lei cosa ne pensa degli omosessuali? Sono normali?». Uno dei dieci allievi che frequentano l’ora nella terza di turno ha voglia di bravate. Nell’angolo però c’è Gabriele (lo chiameremo così, nel rispetto della sua minore età), che omosessuale è e si dichiara apertamente, così il dibattito ha inizio. Non con il compagno che ha usato l’espressione di cattivo gusto però: no, Gabriele vuole parlare con la prof. Vuole sentirsi dire da lei, che insegna religione cattolica, ‘cosa sono’ gli omosessuali e perché ‘non vanno bene’. La risposta (ricostruita su Avvenire nei giorni scorsi dalla stessa professoressa Caramico) nello spazio di un’ora di tempo campeggia sulla scrivania dell’Arcigay di Torino, da cui parte una piccatissima telefonata verso il preside della scuola: «A un ragazzo è stato detto che i gay sono malati». Gravissimo e inaccettabile. Quasi come il fatto che nessuno si sia preoccupato, prima, di accertare che quello che era stato raccontato fosse vero.
Gabriele d’altronde si prende la briga di spiegarlo anche su
Facebook, nel gruppo che dovrebbe essere riservato ai ragazzi che frequentano il Pininfarina: «L’unico scopo dei prof di religione è spargere disinformazione». E via con la storia (senza capo né coda) degli animali «che sono gay», di quella prof crudele che «non si rendeva conto di parlare con un adolescente che tecnicamente poteva non accettarsi». Ma al gruppo questo non importa, «ora che quella sogliola della tua prof si è espressa, passerei il pallone al gruppo scuole di Arcigay Torino» gli suggerisce qualcuno di smaliziato.
Il preside, Stefano Fava, tira dritto e comincia ad essere scocciato da tanta attenzione mediatica (peraltro giunta appena a quattro mesi dalla sospensione di un altro docente della scuola, militante attivista del movimento per i diritti dei gay, indagato per aver chiesto prestazioni sessuali a pagamento ai suoi studenti): «In questa scuola vige il principio della tolleranza assoluta e del rispetto di ogni persona e di ogni opinione. Io sono chiamato ad essere il giudice in questa vicenda, trarrò le mie conclusioni con lucidità e saranno note a tutti al più presto».
Unica precisazione: «Non ho mai detto che l’insegnante in questione è omofoba». E comunque «a suo carico non è stata avviata nessuna procedura disciplinare, altrimenti la professoressa lo avrebbe saputo». Una piccola consolazione per la prof Caramico, che dal fango in cui è stata gettata con la sua famiglia cerca di ricostruire i pezzi: l’affetto dei suoi colleghi (che hanno appeso lettere di solidarietà in sala professori e stanno scrivendo una petizione in sua difesa), la stima degli studenti (che hanno lanciato una raccolta firme in suo sostegno), le telefonate e le lettere delle famiglie degli studenti dislessici (che da sempre segue nel percorso didattico a titolo volontario, e al Pininfarina sono ben 120). «È un momento terribile per lei – racconta l’unico collega disposto a dare nome e cognome, Michele Simone, docente di elettronica –. Quello che è accaduto è inverosimile. La sensazione è che ci siano due vittime di questo tritacarne ideologico». Chi viene distrutto e chi usato. Comunque vada a finire.