
Le Lettere di Gaetano – La libertà di essere responsabili
Alcuni giorni fa, il 9 novembre per l’esattezza, ricorreva il venticinquesimo anniversario dell’abbattimento dell’antifaschistischer Schutzwall, ovvero la “barriera di protezione antifascista” comunemente nota come Muro di Berlino.
Ricordare quella denominazione ufficiale del muro non ha solo un valore di curiosità storica, ma serve anche a comprenderne meglio il senso. È estremamente significativo, infatti, che quel “confine” di mattoni e sangue venisse concepito, nonostante fosse già il 1961, come separazione tra due modelli di “ordine universale” antitetici nelle premesse ma appunto contigui, se non addirittura sovrapponibili, negli effetti.
Emersi entrambi con il consenso, anzi addirittura tra l’entusiasmo, di popolazioni storicamente provate e afflitte per cui la sopravvivenza era un orizzonte in apparenza ben più urgente della libertà, essi si esauriscono perché la pretesa di imporsi e di escludere ciò che è altro da sé li distrugge progressivamente dall’interno. Il loro abbattimento (perché di abbattimento si è trattato, non di crollo) dimostra che non si possono trasformare gli individui in ingranaggi meccanici subordinati e funzionali a un sistema concepito con il solo scopo etico di perpetuarsi, come arbitraria costruzione del bene assoluto ma senza un vero senso, perché senza riguardo alcuno per ciò che ci rende persone.
Nonostante l’evoluzione moderna dei principi di libertà e di autodeterminazione delle persone, a distanza di venticinque anni quella del muro torna a essere una metafora estremamente attuale. Diventa anzi un monito soprattutto per la cultura occidentale, quella che a costo di oceani di sangue versato si è appropriata del concetto di laicità come principio di garanzia e di equilibrio tra la necessità di preservare la coesione sociale e il rispetto del valore della persona, della sua condizione esistenziale e delle sue aspirazioni.
Nella sua essenza più autentica il cristianesimo, sarebbe antistorico negarlo, è stato partecipe di questa evoluzione non solo in quanto affronta fin dal principio il tema della separazione tra Cesare e Dio, ma soprattutto perché restituisce centralità alla persona aiutandoci a capire che “il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.
Eppure, nonostante una storia plurimillenaria che dovrebbe porre il cristianesimo, tra tutte le religioni, in una posizione unica e privilegiata in termini di rapporto con la modernità e la laicità, oggi sembra prevalere in tante e tanti la tentazione di edificare nuovi muri, invece di ponti, sottraendo così ai credenti la preziosa opportunità di separare il nucleo di un messaggio di amore e di inclusione dal retaggio di condizioni storiche e sociali ormai superate.
La deriva culturale dell’omologazione e l’incertezza di un mondo perennemente attraversato da crisi economiche, politiche e sociali si miscelano in una benzina fatta appositamente per alimentare il fuoco della paura e nulla come la paura spinge a costruire muri.
Ciò che non si conosce o che appare estraneo, invece di stimolare curiosità e di suggerire opportunità, diventa un fattore di rischio inaccettabile. La scelta, la libertà stessa di scegliere, diventa un fattore di rischio. La paura di compiere scelte sbagliate ci congela e diventa irresistibile la tentazione di affidarsi a qualcuno o a qualcosa d’altro, quasi non importa chi, purché ci indichi che cosa fare. È un modo per nutrire l’illusione di preservare la nostra innocenza, perché seppure dovessimo percorrere sentieri sbagliati avremmo sempre qualcuno a cui dare la colpa.
L’enfasi sul senso di colpa (che è purtroppo una distorsione storica della cultura cattolica) diventa tale da indurre desiderio di “deresponsabilizzazione” e il rifiuto di assumersi responsabilità è una china che conduce inevitabilmente alla distruzione e all’alienazione della nostra umanità.
Ecco perché, per riprendere la metafora utilizzata da Don Leonardi in un suo articolo, ciò di cui abbiamo bisogno non sono muri, semmai recinti con una porta aperta. È vero infatti che di regole abbiamo bisogno, perché è sulle regole condivise che si fonda il contratto sociale senza il quale non potremmo sopravvivere (perché, come esseri umani, abbiamo bisogno della dimensione sociale). Ma non deve trattarsi di regole concepite per tenere una lista dei buoni e dei cattivi, per distinguere il bene e il male in senso astratto, aprioristico, avulso dalla realtà in cui viviamo. Le regole, come il “sabato” evocato dal Vangelo di Marco, devono essere fatte per noi. Devono essere funzionali al benessere di tutte e di tutti, perché non è detto che il benessere di qualcuno implichi il malessere di altri.
Perché le nostre regole siano fatte in questo modo è necessario appunto assumerci le nostre responsabilità di individui in relazione con altri individui. Rinunciando alla responsabilità, rinunciamo a noi stessi, al nostro scopo, a mettere al centro il nostro benessere, in quanto la regola, intesa come muro di protezione dai rischi della responsabilità, diventa più importante della nostra stessa vita. Smettiamo di essere preziosi, unici, inviolabili e diventiamo sacrificabili, purché il muro non cada.
Personalmente, credo che siamo qui per camminare, per imparare e per fare il meglio che possiamo, per starci, qui, meglio che possiamo. Per questo dobbiamo rivendicare e usare la libertà, assumendoci la responsabilità di metterci in discussione.
Non si tratta di opportunismo, né di relativismo. La capacità di mettersi in discussione di fronte a se stessi e al reale e quindi di elaborare le nostre regole tenendo conto del reale è questione di maturità.
Se non teniamo aperte le porte dei recinti e non ne usciamo mai, da dove potranno mai arrivare gli input e gli stimoli necessari per metterci in discussione? Non certo dalle pareti sempre uguali del muro, che con il tempo si ingrigiscono e si consumano finché non ci crollano addosso. Ognuno ha il diritto di scegliere la testata d’angolo, ma allo stesso tempo, la responsabilità di questa scelta deve essere usata per costruirci intorno una casa adatta a ciò che siamo.
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