ilsussidiario.net – IL CASO/ Il Financial Times e quei cattolici cinesi che ci insegnano a contare fino a 2
Se il cristianesimo allo stato brado fosse l’unico allo stato puro? Se il cristianesimo che vive nascosto, fosse così visibile da finire sulla copertina del Financial Times? Se i cristiani senza voce si fossero fatti sentire non solo in cielo ma fino a noi, passando dall’America? Sono false domande perché so già la risposta: sì è successo così. La copertina del Financial Times Weekend Magazine è la loro: i cattolici in Cina, la chiesa cinese cresce. Cresce il numero ma, nella fede, non è mai solo una questione di numeri: quando si dice che la Chiesa cresce (di numeri) vuol dire che cresce la fede. Cresce quel mondo invisibile che chiamiamo vita interiore, dialogo con Dio, vita sacramentale, carità fraterna, vita di comunità, volersi bene: insomma, tutto quello che la nostra vita si gioca con Dio. Ed è una notizia da prima pagina per il FT Weekend Magazine che è il principale giornale economico-finanziario del Regno Unito ed uno dei più antichi, autorevoli e letti del mondo, ma, per questo ne scrivo, questa notizia è da copertina anche per la nostra coscienza di cristiani, per quella prima linea della nostra vita di fede che è la prima a imborghesirsi, a perdersi nei giochi di potere in parrocchia, nei movimenti, nei “credo in Dio ma non nella Chiesa” . Una prima linea interiore che trova in edicola l’eco del rumore di una Chiesa nascosta e viva e in crescita.
Cosa succede in quelle pecore con gli occhi a mandorla? In pecore che, spesso, sono senza pastore ufficiale ma con pastori che vengono dalla politica e non da Roma, da pastori che sono di Cesare come le monete del vangelo? Questa è la seconda domanda ed è una domanda vera. La risposta non la so, ma non perché non ho controllato bene le fonti ma perché, davvero, non lo sa nessuno cosa succede in Cina e perché succede. Poche e clandestine sono le informazioni che arrivano da laggiù. Ma forse non è solo un fatto logistico e politico. Forse è che la Cina e i cristiani cinesi sono lontani da noi non solo in chilometri, non solo perché le frontiere sono chiuse, ma sono lontani come sono lontane certe pagine del nuovo testamento. Penso e prego sui primi apostoli, sui primi cristiani, quelli che neanche sapevano di avere il nome di cristiani (perché il nome di “cristiano” inizia verso il 70 d.C. ad Antiochia) ma sapevano chi era Cristo. Forse è qui che ci separiamo da loro. E lo facciamo più di quanto facciano i chilometri, i secoli e il cinese parlato e scritto. Loro sanno solo Cristo. Niente cristianesimo, solo Cristo. Cristo, se ci hai vissuto insieme, non lo puoi dividere in movimenti e gruppi parrocchiali e non puoi dire credo in Dio e non nella Chiesa: Dio è Lui, Lo hai visto – nei miracoli, nella Passione e Morte e Resurrezione – tu lo hai visto che “faceva Dio” e, a quel punto, la Chiesa sei tu: tu e i i tuoi fratelli, quelli che incontri.
Forse noi oggi viviamo da cristiani ma ci scordiamo di vivere di Cristo e con Cristo. E allora il cristianesimo non è più Cristo, non è più un incontro, uno scontro, un alzarsi con Lui e crollare la sera con Lui, ma è solo un’appartenenza. Appartenenza a un gruppo, a un movimento, a una parrocchia, a tutto ciò che ha un programma pastorale, un orario, una sede, una sala, un capo. Ha tutto ma Cristo rimane in coda pure Lui: per esserci pure Lui deve aspettare l’ora della messa e del catechismo. Lo so è un po’ eccessivo però i cinesi “crescono”, e magari manco lo sanno. Siamo noi che li contiamo: loro sopravvivono solo. Noi siamo quelli dei risultati coi numeri: quanti iscritti? Quante vocazioni? Quante conversioni? Quanti santi? Quanti miracoli? E così, non va bene, perché con Cristo c’è storia ma non c’è tempo. Lui i cinesi ce li ha davanti e noi, i cinesi, dovremmo vederli come li vede lui: accanto a quelli di duemila anni fa, come quelli che sapevano solo di Lui e delle sue parole. Accanto a quelli che erano armati solo di buone gambe, buon cuore, e facevano presto a contarsi perché lui li mandava due a due. Nessun programma pastorale, anzi aveva persino proibito di preoccuparsi di quello che dovevano dire perché ci avrebbe pensato lo Spirito Santo. Infatti io, se cerco di immaginarmi i cinesi, se provo a guardarli come li guarda Lui, vedo gente che sgattaiola due a due per raggiungere un sacerdote, un luogo che abbia un tavolo da fargli fare l’altare e so che alcuni saranno imprigionati e altri uccisi solo perché sono di Cristo, proprio come i primi. Solo che se guardo bene con lo sguardo di Gesù, sguardo eterno, sguardo che ha davanti tutta la storia senza un prima e un dopo, se guardo bene vicino ai primi e ai cinesi, ci sono anche io e la mia comunità e il mio gruppo. Voglio essere come loro, non per crescere come loro, non le voglio fare più le questioni di numeri. Voglio lievitare come loro. Voglio riimparare a contare solo fino a due: io e mio fratello, mandati, inviati. E voglio avere come unico programma pastorale quello che per noi stamperà lo Spirito Santo.
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Questo articolo è stato pubblicato anche da Papaboys