7 novembre – Non scacciarmi
Diceva anche ai discepoli: «C’era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L’amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Luca 16,1-8.
A che serve la luce.
Se non a vedere bene?
Se non a non cadere?
Se non a trovare le cose?
A cosa serve il cervello.
Se non ad usarlo?
Se non a fare i conti?
I conti dell’amministrazione e i conti della vita?
Eppure a volte, in piena luce, ci muoviamo come al buio.
Eppure a volte, usiamo la testa per rubare e fare male e poi salvarsi con scaltrezza.
Se unissimo le due cose.
Se mettessimo luce nella scaltrezza.
Se mettessimo la testa nel fare bene quello che ci è affidato.
Non dovremmo salvarci la vita da soli.
Ma potremmo lasciarci salvare, proteggere, ricompensare dal nostro padrone.
Dal nostro signore e amore.
Quanti Se Se Se Se,…
Quanti se, quando non è l’amore che illumina, che illumina cuore, mente, tutto.
Amami.
Amami.
E sarò scaltra, scaltra di vita e di amore.
Perché parli tra te e te?
Guardalo e rispondigli.
Dì Si, ho sperperato.
Fatti salvare.
Fatti perdonare.
Fatti amare.
E invece, no.
Ti vuoi arrangiare da solo.
E iniziano le bugie.
I sotterfugi.
Le scaltrezze.
E ti salvi da solo.
Ma c’è una cosa che mi piace di te.
La voglio imparare.
La voglio imparare da te, amministratore disonesto.
Voglio imparare da te a conoscere i miei limiti.
Voglio imparare da te a dirmi: non ho forze.
Mi vergogno.
Voglio imparare da te a fare quello che posso fare con quello che so, che ho, e a dirmi la verità.
Però lo voglio fare alla luce del suo amore.
Però voglio vivere non di quello che riesco a rubargli.
Ma di tutto quello che lui mi dona.
Amore mio.
Ho sperperato parte dell’amore che mi hai donato.
Amore mio.
Ho sprecato parte della vita che mi hai dato.
Ho rubato quello che dovevo proteggere e mantenere.
Non ho forze se mi abbandoni.
Mi vergogno di me.
Non scacciarmi.
So solo essere me stessa.
Ma stavolta.
Lo farò. Lo sarò. Per non morire.
Per vivere ancora.
Per avere ancora una casa.
Non cacciarmi.
Questo commento del vangelo del giorno è fatto dalla prospettiva di una delle donne senza nome che seguivano Gesù (cfr Lc 8, 1-3). Il suo nome è Zippi (Zippora).
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