
Le lettere di Paolo Pugni – Mulini a vento
C’è che ognuno c’ha le sue battaglie, le sue fisse, i suoi mulini a vento da sconfiggere. Così, non sai bene come o perché, da dove vengono, se eruttano dalla tua storia, se percolano dal tuo futuro. Ma ce li hai.
C’è poi che son fissato sui massimi sistemi. Che sarà colpa del liceo classico o della chimica industriale, o dalla matematica e quella curiosità di individuare il fattor comune, il minimo
comune multiplo. Quelle robe lì.
Fatto è che a me piace estrarre e ragionare.
E son fissato con sta storia della soggettività che mi sta qui e mi annebbia la serenità.
Sarà per questo che la vedo ovunque non so se con la pervicacia del martello per cui tutti sono chiodi o quella di Cassandra che aveva una misera sorte.
Ciò detto eccomi pronto a fare le pulci, che certe cose mi spaventano, non mi interessa chi le ha detto o perché, mi interessa il massimo comune denominatore, il filo che le attraversa.
Così quando si dice “non leggo mai le sue lettere perché sono piene di cose brutte, ma vedo che lui è contento a pubblicarle e allora sono contento anche io” mi si drizzano i capelli sulla testa perché questa roba qui giustifica tutti, se il sillogismo è vero, lo è sempre quindi se scrivo “non vedo mai i video dell’ISIS perché tagliano la testa alla gente, ma vedo che loro sono contenti a pubblicarli e allora sono contento anche io” voi mi che sono pazzo, ma non ho fatto altro che applicare la stessa regola.
E se scrivo che “non posso dialogare con te perché abbiamo la mia giustizia è diversa dalla tua giustizia” o sono in malafede o sono ignorante perché la giustizia può essere una sola, dato che è basata sul vero, e è proprio possibile che siano tante: che allora la mia giustizia dice che ti devo mandare alla camera a gas e non ci dialogo neppure con te che non serve a nulla…. La violenza della presunzione nascosta in questa frase è palese e chi la scaglia addosso o finge di non coglierne la rilevanza e le conseguenze o non le capisce ed è ancora più pericoloso.
Infine leggo che siccome mia sorella, mio fratello, mio zio, ha fatto queste cose –diciamo quelle che hanno schiaffato Didone e Semiramide nel quinto canto- e poi ha trovato un coniuge che ha fatto di peggio e adesso stanno bene insieme, beh allora quelle cose lì poi non sono male, non sono peccato, sono l’altro lato dell’amore.
E questo mi spaventa perché è esattamente quello che dicevo qualche lettera fa, cioè che se prendiamo noi e la nostra vita come misura della verità non ne usciamo più. Tutto diventa lecito perché non possiamo pensare che la Giulia, zio Peppino o persino io abbiamo fatto delle cose di male, abbiamo colpe che non sono scusate perché scusa non l’abbiamo chiesto mai.
Questo è esattamente il ritorno all’origine, a quell’essere come Dio perché si stabilisce che cosa siano il bene e il male.
E mi spaventa anche quando si vaneggia su misericordia e verità, che l’una non esclude l’altra, e su che cosa ci giudicherà Gesù. Forse proprio sulla capacità di ridere di noi e di essere felici sempre, a prescindere, anche sulla croce. Non lo so, ma mi piace: sarà così allora?
Insomma ho fatto outing e lezione oggi, perché mi son davvero stufato di cercare razionalità e trovare sentimento, tutto liquido, tutto spalmato nella Nutella.
La clemenza sta al giudice, che in questo caso è anche la Carità fatta persona, e persona divina, ma al potere esecutivo spetta solo capire la legge e applicarla. Capire e volere, toh ciò che rende la persona diversa dall’animale, capace di intende e volere e, aritoh, quello che la Chiesa insegna a proposito del peccato: piena avvertenza e deliberato consenso.
Poi se vogliamo parliamo di misericordia e casi personali, con molto gusto: passo la palla a voi.