
Le Lettere di Paolo Pugni – On the border
È lì da qualche parte ma non lo trovo, ci cammino sopra magari, lo calpesto, ma non riesco a vederlo. Come un sentiero che in montagna si perde nella pietraia e fai fatica a distinguere il prossimo segnale, così questa cosa mi si farina, s’inforsa, sbiadisce. E mi fa male. Tanto. Dov’è questo confine tra l’accoglienza e la difesa? Tra una guancia e l’altra? Tra l’abbraccio e la fuga, non quella –per diral con Tolkien: eh lo so fefral, ma non riesco a resistere- del disertore, ma quella del prigioniero di guerra? Perché se una nonnina, tutta dolce e pizzo, vi suona ogni sera la porta e con un sorriso e la vocina, vi offre ogni sera una torta, bella, buona, pacata, ma intrisa di veleno, non tanto da farti cadere lì stecchito, ma da ammalarti lentamente, subdolamente, con crudeltà, se la vecchina carina con la vocina ti racconta che coccola i nipoti e che pensa spesso ai figli lontani e ti canta le canzoni della sua giovinezza e ti sorride e ti accarezza, ma le sue torte sono sempre avvelenate, e ogni giorno di cresce dentro quel veleno, crudo e acido che t’annebbia la vista e il mondo non ti sembra più allegro e bello, ma triste, grumoso, da attaccare, e non solo tu, ma tutta la tua famiglia, che quelle torte le mangia, e i figli e li vedi scivolare via nell’oblio come in preda ad una droga, e la vecchina invece è sempre lì, trillante e rassicurante, che cosa devi fare? Sbatterle la porta in faccia per difendere la tua famiglia? Spaccargliela proprio la faccia per tenerla lontana? Denunciarla alla polizia? O continuare ad accoglierla con un sorriso? Continuare ad ascoltarla e accettare le sue torte anche se dici che poi non le mangi e se fa contenta lei farle e mandarmele devo essere felice per lei (curioso: se io invece ogni volta che la vedo la picchio e questo fa contento me, allora dovrebbero essere felici tutti per me? O qualcuno avrebbe qualche cosa da dire?). Sono felice per lei anche se dalle sue torte si alza comunque il veleno e lo respiro? Dovrei farla sedere nel salotto e lasciare che parli e avveleni i miei bambini? Dirle: ma come sei brava? Ma come sei dolce? Ma che spirito brillante che hai? E se non ti faccio entrare in casa ad avvelenarmi sono io che sono sprangato dentro e autoreferenziale? Non lo so. Non capisco. Lo dico onestamente. Non lo so. Lo ripeto per evitare malintesi. NON –LO- SO! Nessuna delle due soluzioni mi soddisfa o mi colma. Forse di più la prima. Perché l’istinto tira in basso, perché si fa in fretta a muovere le mani, perché sono un irascibile, vizio comune ai codardi che passano dal panico paralizzante alla furia obnubilata, perché pensi di fare più in fretta. Perché pensi di avere ragione e quindi ogni soluzione. Pensi. Pretendi. Imponi. Però non so, non so proprio. Capisco razionalmente, ma poi non riesco a trasformare in comportamento, in giudizio, in azione. In questa roba da fare qui ed ora. Me ne sono reso conto anche l’altro giorno che correvo e vedevo venirmi incontro facce comuni, quelle che vedeva Gesù sulle strade della Palestina. E qualcuno era brutto, sciatto, volgare, e ho dovuto correggere quello sdegno, borghese, maligno, diabolico perché è troppo facile amare quelli belli, quelli vicini, quelli uguali a te, che ti riamano, ancora di più: che ti esaltano, che ti adulano. Devo cominciare ad amare quelli sporchi, ribelli, cattivi. Come la vecchina. Ma faccio tanta fatica. Tanta. Dio solo lo sa quanta fatica. E non trovo mai quella riga secca che squadri il mondo e rischiari il vero. Ora mi domando: non sarà mica che questo confine me lo perdo, mi si sfa davanti, non sarà mica che svanisce non perché io non riesco a trovarlo ma perché non c’è? Perché tutto è amore e non c’è steccato da tirare su? Ma allora tutto è ancora più complesso. Chi ci salverà da questo pozzo senza fondo?