L’Huffington Post – Si dice “suicidio”, non “è scivolato”
Si dice “suicidio”, non “è scivolato”. Sto parlando del quindicenne che a Bergamo ha cercato di togliersi la vita e della lettera scritta da un suo insegnante – Liceo Scientifico Lussana – in cui ci racconta che “neppure un minuto di silenzio”, che “le lezioni non vengono sospese e i camion continuano ad entrare ed uscire dal cancello della scuola, calpestando il selciato ancora macchiato di rosso”. Insomma, gli adulti dicono: questa cosa, quello che ha fatto il vostro compagno di classe, noi non la guardiamo. E allora, se è così, non diciamo che è colpa degli adolescenti. L’adolescenza non è una malattia, come non lo sono la gravidanza e la menopausa. A nascere non ce lo insegna nessuno ma a vivere sì, e lo devono fare gli adulti, anche gli insegnanti. Non va bene che il dirigente scolastico sia “sgomento”. Sgomenti devono essere i ragazzini. Il dirigente scolastico lo sgomento se lo mette in tasca: non rilascia l’intervista e, invece, pensa ai suoi alunni: non fa fare cinque ore di lezione come se nulla fosse. Perché, invece, qualcosa è successo. È successo un tentativo di suicidio, e non possiamo dire che non è successo nulla. Mancano gli adulti. Perché l’alcolismo tra i giovani è così, virale, contagioso? perché sono tanti gli adulti che non lo guardano, che negano la sua esistenza non parlandone. Tuo figlio è tornato che puzza di alcol. E che sarà mai?, anch’io lo facevo alla sua età. No, che non lo facevi. L’hai fatto un sabato sera e tuo figlio lo fa ogni weekend e da un po’ anche nell’infrasettimanale. “E che sarà mai?”, ma così passano i mesi. Diventa un anno. Diventa cronico. Diventa virale. Ci sono troppi adulti che insegnano ad ignorare la realtà, non a chiamarla per nome. E allora non ci vuole uno scienziato per fare due più due. e per capire perché i giovani sono più connessi a internet che alla realtà. Ragazzi e padri sono spesso così distanti, così lontani. Una distanza fisica che si ripercuote nell’animo e nello spirito di questi ragazzi. Sempre più soli e sempre più connessi. Connessi alla vita delle nozioni e delle emozioni e sconnessi dagli sguardi. Se diventi rosso dietro lo schermo di un computer è più facile da gestire che davanti al gruppo di amici. E senza padre, senza guida, scegli la via più facile. Se muori ad un video gioco fa meno male che sbucciarsi le ginocchia in una corsa o un occhio nero in una scazzottata. E da solo, scegli la via più facile. Se non ce la fai a vincere, fai game over e ricominci. Ed è più facile da gestire di una figuraccia in palestra davanti a tutti, hai sbagliato avanti un altro. Senza padre, da solo, scegli la via più facile. Se sei disperato alla prima ora del primo giorno di scuola, scegli la via più sbagliata. Ragazzo, domani speriamo di sapere che ce l’hai fatta che possiamo ricominciare. Stavolta uniti.