Blog / Lettere | 23 Agosto 2014

Le Lettere di Paolo Pugni – Verità vò cercando ch’è sì cara…

Tra i tanti incipit che avevo in mente per questo post, ognuno con una sua dignità e percorso, alla fine ho scelto questo, perché il miserere di me qual che tu sii me lo tengo per la chiusura: “
Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. No, non voglio parlare di omosessualità, quanto di onestà intellettuale e perdono.
Perché qui mi si confondono i piani, e credo che ci sia una certa affettuosa malizia –declinata al positivo, non trovo la parola, se ce l’avete voi regalatemela per favore- nella carezza di Dio che ci dona così tante parole che si può trovare, per la nostra mente limitata, una cosa e il suo contrario e tocca a noi la fatica di districarle, di ordinarle, di ambientare e di fare lo sforzo di applicare.
E credo proprio che ci sia un guazzabuglio di piani, un pasticciaccio di situazioni, che ci confondono le idee e sconquassano il cuore. Probabilmente per restare umili. Che per questa ragione Dante ficca Ulisse all’inferno: per aver cercato la verità con presunzione e orgoglio e non con l’umiltà di chi si sa fragile e bisognoso di guida.
Il perdono, già, il perdono: che noi non siamo Dio, a noi tocca solo perdonare per essere perdonati. Non altro. Il giudizio lo lasciamo a Dio. Guadagnamoci la sua misericordia con lo sforzo di non condannare nessuno.
Però ecco qui torno a Papa Francesco che non ha mai detto, come gli hanno attributo, “chi sono io per giudicare un omosessuale?” ma “se uno è gay e cerca il Signore e ha buona volontà”. Buona volontà. Cercare Dio.
Ora c’è un argomentare qui su queste pagine che mi sembra quanto di più lontano dalla buona volontà a dal cercare il Signore, semmai pare solo la violenta forza di chi non sa se non affermare se stesso, travolto da un turbine di vanità, delirio di onnipotenza e bisogno freudiano di farsi vedere, salire sul palcoscenico. Che decidere chi è degno di risposta, anzi peggio: di lettura, e chi non lo è, non fa certo rima con dialogo. Negare le categorie logiche quando ci si vede messi all’angolo è gioco vecchio, stantio, banale di chi non appena si vede in difficoltà grida all’aggressione, al fuori tema, alla violenza. Che la violenza non è solo quella di Rocky che spezza i pollici –poi non lo fa perché è buono- è anche quella del commento senza mai nominarti, con offese sarcastiche e taglienti, del fare l’occhiolino ai buoni per dire eh am che gentaglia ospiti a casa tua? Non è che dovresti lasciarli nel cortile dietro la casa insieme alla spazzatura e far entrare nel tuo salotto solo quelli nobili ed eleganti e colti e raffinati come me?
E se ricordo bene, lo stesso Santo che scrisse che di 100 anime ce ne interessano 100, tutte fino in fondo, e che non si fa proprio di erigere una croce contro qualcuno, disse anche che “è un grave errore innalzare un piedistallo ai nemici della Chiesa, che hanno speso i loro giorni nel perseguitarla. Siine persuaso: la verità storica non soffre, se un cristiano non collabora a costruire un piedistallo, che non deve esistere: da quando in qua l’odio è stato posto come esempio?”
E aggiunse
Guardati dai propagatori di calunnie e insinuazioni, che alcuni raccolgono per leggerezza e altri per malafede, distruggendo la serenità e avvelenando l’opinione pubblica. A volte, la vera carità richiede la denuncia di queste aggressioni e di chi le provoca. Altrimenti, con la loro coscienza deviata o poco formata, quegli stessi e quanti li ascoltano potrebbero argomentare: stanno zitti, dunque acconsentono.
Allora è il nostro santo quando ci fa comodo che incita al dialogo e all’apertura e non lo è più quando invita a non dare megafoni ai ciarlatani aggressivi? A metterli al loro posto? A non tacere?
E come valutare le parole recenti di papa Francesco che afferma che l’aggressore va fermato?
Non lo so, forse perché si gioca su piani diversi, su contesti differenti, su situazioni diverse e sicuramente i social media non facilitano: questo blog è un salotto privato di casa dove si chiacchiera amabilmente con passione? O uno speaker’s corner dove si sta regalando una cassetta della frutta a chi vuole urlare le sue posizioni senza freno? Chi determina i confini della verità e dell’ascolto? Chi fissa le regole del dialogo e arbitra? Anche questa cosa qui dell’arbitro va chiarita perché l’arbitro non sta lì per penalizzare il gioco e giudicare i giocatori, ma per favorirlo: è un servizio, non un esercizio del potere. Ma va bene.
E poi ti chiedi: ma allora l’ospedale da campo? L’amare sino alla fine, sino al sangue? Il Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno? Dove li metti nella tua vita?
Il perdono, torna a galla, perché come dice don Fabio nella splendida omelia nella notte di Pasqua, la vita del cristiano è una vita da mediano, sempre lì –in mezzo sotto la croce- a prendere sberle (si può scherzare solo sui cristiani oggi, fare una battuta su altro è immediato segno di razzismo), a sputare i polmoni, con gioia, anni di fatiche e botte vinci casomai la tua vita eterna.
Ma poi ricordi che il perdono è per chi lo chiede: il padre aspetta sulla collina, corre incontro al figlio che sta tornando a casa, non va a cercarlo dove sta dilapidando il patrimonio.
Il perdono non lo nega mai ma… a chi lo chiede: don Mauro ci ha parlato di Ippolito, Dante racconta di Manfredi

Poscia ch’io ebbi rotta la persona
di due punte mortali, io mi rendei,
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.

E di quel Bonconte che per una lacrimuccia e il nome di Maria fu strappato al diavolo che se l’era lavorato tutta la vita.
Chi si rivolge a lei.
Ora mostrare sdegno, disprezzo per gli altri, non mostrare mai un’ombra di pentimento, dire mai scusa, ascoltare mai mi pare starsene ben serrato dentro la propria dissolutezza –per dirla con il figliol prodigo- che anche ammettendo che tu sei il giusto, almeno 7 volte al giorno caschi.
E nel Vangelo c’è scritto a tinte forti che se hai ammonito il tuo fratello tra voi, con amici e di fronte alla comunità e quello insiste, sia per te come un pagano e un pubblicano.
Quindi?
Quindi arriva come una mannaia quell’altro punto dove siamo invitati a perdonare 70 volte 7, cioè sempre. E allora?
Gli è che, come spiega don Mauro, nella meditazione sul perdono, noi non siamo Dio, noi non dobbiamo mai condannare, noi non dobbiamo preoccuparci del debito verso Dio –immenso, senza fine, senza soluzione ma che a volte sembra minuscolo rispetto a quello verso Equitalia- ma del credito verso i fratelli, che lì dobbiamo essere generosi, nel poco, nei 5 euro che ci devono, nel saluto non dato, nella battuta acida e tagliente.
E lì io crollo, non è che faccio fatica, mi fermo, paralizzato, come davanti ad una ferrata, ad un punto esposto, ad una corda alla quale tenersi, perché la vertigine mi congela e mi scaraventa nel terrore. Non ce la faccio. Mi prende lo stomaco, mi squassa i visceri.
Mi viene da urlare, indignarmi, aggredire. Specie quando l’oggetto del disprezzo non sono io, ma persone che amo, che rispetto, che stimo. Che se offendessero i miei figli, mia moglie, mia madre, non le mando a dire, forse passo anche alle mani, io che sono codardo e pauroso. Perché più che il timor potè l’offesa.
E quando riemergo scopro che forse questo è la maledizione prima, quella voglia si eritis sicut dei, di sentirsi Dio per gli altri, giudicare non del bene e del male, ma del perdonabile e dell’imperdonabile, per cui non capisco più nulla e mi sembra solo di avere una grande confusione dentro e un gran dolore per non capire come fare ad amare.
Miserere di me qual che tu sii, o virtual o omo certo.