Blog / Lettere | 31 Maggio 2014

Le Lettere di Paolo Pugni – La notizia al centro

Parti da una notizia, mi dice don Mauro. Trova la notizia della settimana che ti ha colpito di più e parti da lì. E racconta.
C’è l’imbarazzo della scelta: le elezioni europee. E l’impegno di Schultz per l’Europa: togliere i crocefissi dai muri.
Le priorità del governo, che secondo alcuni ha stravinto così tanto le elezioni da poter decidere finalmente gli atti che cambieranno l’Italia: il divorzio brevissimo e il decreto Scalfarotto contro l’omofobia. Che per la verità dice molto su che cosa sia l’uomo secondo loro: un fascio di egoismi che deve pensare innanzitutto a sé e alle proprie voglie.
Beh, cosa scegli? Da dove parti.
Scusate, ma per me quale notizia più grande potrebbe esserci questa settimana se non che mia figlia si sposa? Adesso, mentre leggi, mentre la lettera compare sulla home page.
Sabato 31 maggio ore 11. Chiesa di san Giovanni Battista in Trenno.
La notizia è questa.
Chiaro?! Chiaro!!
Il punto è un altro. E adesso? Che cosa racconto intorno?
Beh potrei cominciare dal fatto che m’han inchiodato ad una sedia, madre e figlie, e mi hanno sottoposto ad un duro programma di addestramento su ciò che devo fare (fiorista, caffè, liberare il tavolo della sala, rispondere al citofono) non devo fare (mettermi a cercare cose stravaganti, fare domande curiose, chiedere che tipo di Nespresso vogliono) ciò che posso fare e che non posso fare (vietato il selfie con sposa mentre si entra in chiesa).
Oppure dal fatto che adesso, a meno di 36 ore dall’evento, mentre scrivo, mica mi viene da piangere, né da commuovermi.
Il che vuol dire che non ho capito cosa sta succedendo.
E sì che m’è già successo. 29 anni fa.
Quando era un’altra figlia ad andare sposa.
E molto più giovane. Franca non aveva ancora compiuto 23 anni. E io non ancora 25.
Altri tempi.
Oggi Chiara si arrabbia quando le dicono che si sposa giovane. A 25 anni.
Ma quale giovane? Giusta! Dice lei. E ha ragione. Che l’amore si costruisce quando la personalità è ancora da levigare, non tutto il marmo è tolto per liberare la statua, lo si fa insieme, giorno dopo giorno.
Perché la natura non perdona mai. Dice don Ugo.
Ma non è questo che mi sta al centro del cuore. Ti vengono al centro le cose che non dovrebbero venirti: il passato e il futuro.
Non solo ti passano davanti le immagini della nostra storia –di quando era piccola e la portavi a nuoto, o in spalla nelle passeggiate, e stava nel seggiolino davanti della bici (su quello dietro mi stava abbarbicato i figlio maschio primogenito e la terza era ancora da sognare) e cantavamo tutti e tre “un giorno io avrò una casa, una casa da contadino” e di quando è partita per il primo soggiorno all’estero con una amica, a tredici anni, e poi gioie e dolori al liceo, fino alla laurea, la triennale perché quella finale l’ho bucata in quanto ero in riunione da un cliente- ma anche i dubbi: dove ho sbagliato? E quanto? E con che conseguenze? Che ormai i giochi sono fatti, ma poi si può sempre puntare ancora e riprovare, non a costruire ma a correggere, piantare un chiodo, una trave.
E le speranze, o le ansie: cosa riserverà loro il futuro? Il lavoro? I figli? il dolore? La gioia? Che il mondo che avevamo davanti noi nel 1985 sembrava tutto rosa, oggi par grigio e –ma sì, diciamolo, Fefral perdonerà- sembra che da Mordor l’ombra di Sauron si divori la luce. Sembra.
E vorresti che non soffrissero mai, e poi invece no ma che soffrissero bene, di quella sofferenza che fa dire agli americani “no pain no gain” che il vantaggio nasce dalle ferite, mica dalla banale allegria sciatta, una sofferenza con la luce e non con l’ombra.
E invece dovresti solo fidarti, lasciare il cuore e fidarti, perché se ti guardi indietro, con tutte le ferite, e il futuro ancora così troppo avviluppato al passato come una corda con zavorra  che non fa volare,  se ti guardi indietro vedi tracciata nella tua vita a lettere squadrate quella frase che ti piace spesso citare: tutto concorre al bene.
Tutto?
Sì, tutto.
Quindi c’è solo da fidarsi e pregare. Molto. Chiedere preghiere. E confidare che quel Signore che ha noi ha regalato una felicità che ci sorprende e inebria ad ogni istante, la doni anche a loro. Anzi di più. E ne tenga scorta, perché di figli ne abbiamo ancora due da sposare. Anche se mia moglie, adesso scossa dalla commozione, afferma: di tu a Letizia che non le passi per la testa di sposarsi! Ma non lo pensa davvero.
Quindi quello che devo fare è quello che deve pregare per gli sposi, per quella bimba che tra 36 ore non sarà più mai figlia, non per primo, non come cognome, perché sarà la moglie di Claudio. Che è giusto così, “lascerà il padre e le madre”, come è stato 29 anni fa per noi.
Adesso lo capisco, adesso lo amo ancora di più, quell’uomo così dolce e silenzioso, che senza fiatare si lasciò sfilare da casa la sua bambina, che aveva appena 22 anni, la sua bambina per darla a me. Quanto s’è fidato. E quanto gli devo essere riconoscente e imparare da lui.
E allora quando l’avrò accompagnata all’altare, e sarò scivolato via, giù dal palco, sarà a lui che mi dovrò stringere, e chiedergli di sostenermi.
Come le tante persone che ci sono vicine in questi giorni di grande felicità, con una intensità ed un affetto che danno ragione alla nostra miseria e al grande amore di Cristo.

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