Blog / Lettere | 05 Aprile 2014

Le Lettere di Paolo Pugni – Cuore di tenebra

Non so amare i colpevoli dei telefilm, come faccio ad amare chi mi ha fatto del male?
Perché questa cosa l’ho capita leggendo il libro di don Ugo, che qui tutti sanno di che cosa si tratta (*), vale a dire che l’unica dimensione è l’amore senza limiti. Come una retta. All’infinito. E senza inizio. Che poi ti dicono che le rette all’infinito diventano circonferenze e tutto torna, anche l’amore quindi, e ti circonda e ti abbraccia.
Già, ma è una faticaccia. Perché se anche quando guardo i serial tv, e qualche volta i serial killer dentro alla puntata, quello che mi viene su e mi rimane in bocca e per i primi pensieri della notte, sono ossa rotte e torture e vendette e rabbia per la giustizia negata, quando capita, se anche davanti ad una favola la prima cosa che provo è rappresaglia, punizione, castigo, violenza, e quello non m’ha fatto niente, non so neanche chi sia, è fantasia,  come faccio a perdonare chi m’ha realmente scorticato la pelle?
Io che anche quando li incrocio sui social network, mica perché siano miei amici si intende, li copro di insulti nella mia testa e mi rivolgo a loro col pensiero e con gli amici descrivendoli con aggettivi non propriamente eleganti? Come faccio ad amare?
Come faccio ad amare se qui, su queste stesse schermate, provo astio per chi sostiene posizione lontane, usa toni graffianti, reagisce, brandisce, pigia sui tasti con livore?
Come si fa?
E poi t’arriva la risposta, mica da Baal che non risponde neanche se lo preghi incessantemente e che non lo puoi proprio confondere con Lui e neppure le due preghiere.
E la risposta è secca: no, proprio non ce la puoi fare.
Da solo.
Che devi lasciar solo andare quel controllo che ti spinge a voler essere tu –cioè io si intende- il pilota di tutto, e lasciare la giuda, fidarsi, farsi debole –beh, non tanto farsi, che lo sono già, piuttosto riconoscersi fragile, un nulla- e allora tutto cambia, tutto sale, tutto prende senso.
Ma per fare questo, per trovare questa forza debole, devi pregare. Io almeno. E non solo tutte le modalità di preghiera che ti avvicinano a Dio faccia a faccia, per parlarGli come attorno al fuoco o al tavolino di un bar, o seduti sul muretto mentre guardi il mare. Anche quella di petizione, per chiedere un parcheggio o i biglietti mille miglia. E non tanto perché se non li trovi poi puoi prendertela con Lui, ma perché dentro questa roba qui c’è la dichiarazione della tua miseria.
Che non puoi fare nulla senza di Lui e che sei così fragile che osi mettere le tue richieste banali, da bambino capriccioso, quello che piange davanti alla vetrina dei giocattoli perché li vuole tutti, accanto a quelle di chi Ti implora per la vita di un figlio (ogni tipo di vira), per un lavoro che non arriva più, per vincere la fame, la disperazione, la separazione, la malattia.
Ma Tu non la scacci la preghiera-capriccio, perché per certi versi è come l’obolo della vedova: tutto quello che ho, mischiato a sale e a drammi più profondi. Perché anche da lì Tu sai trarre vino, trasformando acqua fangosa in bevanda prelibata. Che alla fine ti rendi conto che quello che conta non è trovare parcheggio, ma imparare ad accettare tutto, e ringraziare per tutto, e fare carne, nella tua carne, quella misteriosa e limpida affermazione di san Paolo: tutto concorre al bene di coloro che amano Dio.
Nota: oggi il mio bambino, il maschio primogenito, compie 28 anni. Io ve l’ho detto, adesso sta a voi…
(*) Don Ugo Borghello, Saper di amore, ed. Ares. Attenti però, leggerlo ti può mandare in crisi e rivoluzionare la vita. Da maneggiare con cura e pazienza. Un tesoro che ti si svela poco a poco.

Paolo Pugni

Paolo Pugni

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