Le Lettere di Paolo Pugni – Le piccole preghiere
È nelle piccole cose che scopri la tua fragilità, in quelle grandi ti è più facile nasconderti. No, non è vero, probabilmente non è vero. C’è però che in quelle piccole, che sono più frequenti, ti ritrovi a metterti in gioco veramente. Perché se ti s’ammala un parente, un figlio, se perdi il lavoro, se muore un amico beh lì è evidente –stavo scrivendo “facile”, ma non che non è facile, anzi durissimo, evidente sì però- che comunque vada a Dio ti rivolgi: o per supplicare o per bestemmiare, che poi alcuni dicono che è sempre forma di preghiera. Perché l’indifferenza no, quella è per spiriti asciutti, perfetti atei o perfetti epicurei, che poi forse è la stessa cosa.
È del parcheggio che cerchi, del Mac che non si carica, della posta che non parte, degli occhiali che non trovi che voglio parlare.
Perché lì scopri a cosa credi veramente e che giudizio hai di te.
D’accordo, ammetto che chiedere l’aiuto di Dio per trovare una vetturetta di carsharing sotto casa è forse puro egoismo, ma lasciatemi essere un po’ ingenuo e ottimista, e vederci invece l’assoluta dipendenza da Dio, il contrario di quello che pensava quell’anima candida che voleva costruire granai per i suoi infiniti beni.
No, qui è la dipendenza del bambino, che se il Padre non gli prepara un parcheggio piange, non di rabbia, di abbandono. Il bambino di massimo due anni, mica quello che maliziosetto di 4 o disincanto di 7.
Qui mi accorgo che per ogni cosa scatta la preghiera, ultimamente spesso per i mezzi tecnologici a disposizione che fan le bizze e che –come dice la mia bella signora- sarebbe meglio se mi mettessero in coma farmacologico quando non si accende il Mac fin quando non riparte.
Ma anche per cose più banali, la mail che non parte, la coda al supermercato, il semaforo che resta verde.
Ecco io credo che tutto possa portare a Dio, anche la mia infinita presunzione, ma devo saper leggere dentro le cose di ogni giorno e anche biasciacare avemarie mentre aspetti che si ricarichi il sistema operativo o mentre sei in linea con il call center che cerca i biglietti omaggio per il viaggio di nozze di tua figlia, è preghiera: avvolta nella carta unta della focaccia, sporcata con le mani grasse dopo aver crimesso su la catena della bici, ma sempre preghiera.
Mi scopro fragile in queste cose: nei figli che non so guidare, nella moglie che non so coccolare, nel cliente a quale non so dire di no –o di sì, dipende; di certo “non so”-, nell’impazienza di avere quello che desidero, nel terrore di dover far fronte ai creditori, nel riuscire a prendere la metropolitana al volo.
Come mi scopro fragile e inquieto in queste piccole cose, quelle dove dovrei invece santificarmi. Ma forse è quello che faccio nel pregare incessantemente per queste piccole sciocchezze che a me sembrano montagne invalicabili.
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