
Le Lettere di Paolo Pugni – Se sei adultero ti tirano le pietre
Dunque sono ambrosiano e la liturgia è tutta mischiata. Domenica passata ci tocca il vangelo dell’adultera e dei lapidatori messi in fuga da una semplice frase di Gesù.
Ce li ricordiamo tutti bene questi miserabili che se ne vanno pieni di rabbia, a cominciare dai più anziani.
Ci rimane bene impressa la figura di questa donna perdonata: nessuno ti ha condannata? Neanche io ti condanno.
Però ci dimentichiamo due piccoli particolari.
Che Gesù non è che la congedi così, con un sorrisone e basta. È categorico: va e non peccare più. Mica continua a fare quello che ti pare. No. Non peccare più. Come diceva il cardinal Biffi prostitute e pubblicani vi passeranno avanti nel regno dei cieli in quanto pentiti, non nell’esercizio delle loro funzioni.
E poi ci si dimentica che il Vangelo non propone mica aggettivi di fianco all’andarsene lento, uno dopo l’altro, a cominciare dai più anziani. Mica sta scritto che se ne vanno rabbiosi.
E se se ne andassero pieni di vergogna, messi a nudo da quella frase secca e a doppio taglio “chi è senza peccato scagli la prima pietra”? se fossero pentiti e convertiti?
Vediamola dall’inizio, ammettendo che fossero in buona fede –sono periferia- si presentano da Gesù dicendo che è stato Mosé a comandare di lapidare le adultere flagranti.
In realtà stanno seguendo la legge, certo un po’ come il fratello maggiore della parabola, quello che esegue senza amore.
Ma un beneficio di inventario glielo concediamo, così come lo concediamo a quei fratelli di oggi che si lamentano di Papa Francesco perché lo ritengono poco Ratzingeriano e forse pure un po’ eretico, o Martiniano che forse è anche peggio.
E poi ecco che si spalanca a loro una luce nuova: sei senza peccato? E allora che cosa pretendi? E i più anziani, quelli che si presume siano più saggi, sono i primi a capire e a convertirsi. E a lasciare lì pietre e peccati.
Forse.
Forse è andata così.
Forse.
O forse ha ragione Scott Hahn a dire che il gioco non era sull’adultera, ma su Gesù, per incastrarlo. Perché c’era una legge, romana, che vietava la pena di morte, che solo i romani potevano comminare –vedi il Venerdì Santo- e quindi eccolo lì l’inghippo dove incastrare il Galileo: che cosa dici? La lapidiamo o no? Se dici di sì ecco ti denunciamo ai romani, se dici di no ecco che trasgredisci a legge mosaica, sei fregato, un po’ come la storia del tributo a Cesare.
Ma Gesù non si fa incastrare e la risposta che dà è un capolavoro di saggezza e, se lo vediamo con occhi politici, astuzia: che cosa avrà mai detto, di lapidarla oppure no? Sta dicendo che siamo eletti e quindi senza peccato oppure ci sta sfidando?
Forse è andata veramente così e se ne sono andati via lividi di rabbia.
Però a me fanno tenerezza e spero se ne siano andati fuori a piangere amaramente, come Pietro più tardi, come se avesse cantato il gallo.

Paolo Pugni
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