Blog / Lettere | 09 Dicembre 2013

Le Lettere di Andrea Piccolo – Requiem

Siamo una famiglia.
Le nostre storie che si incontrano, si scontrano, si allontanano e non si separano mai fino all’oblio, fanno di noi una famiglia.
Chi lungo il cammino allenta la stretta della mano, o scioglie l’abbraccio che lo rende prossimo, per scivolare via nel silenzio senza ritorno, lascia senza parole chi resta all’appello in questa famiglia umana.
Perchè cosa è mai il nostro pianto, le lacrime, le grida o i singhiozzi, il nostro lutto espresso in riti e forme, se non un indescrivibile dolore che non trova voce, consegnato a un inconsolabile silenzio?
Chi ci lascia e se ne va in silenzio, ci fa dono del silenzio.
Silenziosa è l’assenza e il vuoto che resta, silenziosa la memoria dell’incontro quando ai crocevia delle storie personali il “tu” presente ha donato pienezza al “noi”. Silenzio il grido che protesta come non può mancare qualcosa adesso a ciò che è stato compiuto, che c’è contraddizione in questo e non può essere.

Chi prende commiato da questa famiglia umana si allontana, spesso senza trovare neppure il tempo di salutare, e non si cura di ciò che quotidianamente pressa e incalza, così, concludendo la propria storia, non chiede più tempo e lo riversa copioso su chi ha lasciato.
Perchè cosa è quel senso di smarrimento che attanaglia e muta in panico, se non la scoperta di avere minuti, ore, giorni in abbondanza che non riusciamo a riempire? Il fratello, impiegando il suo tempo per progettare la sua storia e percorrendo la sua strada, che tante volte incontrava la mia, dava la misura al mio tempo che scorreva, fino all’incontro successivo, sempre precipitoso, sempre poco.
Ma adesso le poche ore da quando se n’è andato sono troppe, esplodono, sono piene di secoli che mi si riversano addosso, mi tolgono il fiato e non riesco a fuggire. E tutta questa ricchezza di tempo, non servirà spenderla per attendere abbastanza da incontrarlo ancora: ho tempo per rimandare il lavoro di oggi e quello di domani, ho tempo per ignorare il mondo frenetico che mi interpella e lasciarlo attendere, ho tempo per piangere, per entrare in confidenza con il mio dolore, ma il mio fratello non ha più tempo per venire da me.

Chi non è più è assente, e imboccando la strada dell’oblio dona memoria a chi ricorda; memoria dei momenti in cui le storie, incrociandosi, erano incontro. La separazione è un dolore che il ricordo non consola, perché i ricordi sono eco nostalgica di qualcosa che, come il fratello, è passato e non ci appartiene più.
Chi se ne va entra nell’oblio, perché ci ha lasciato il tempo che sfuma i ricordi, li confonde e li nasconde seppellendoli tra le sue nebbie. Ma anche la memoria è dolore, infatti ricordiamo il passato ma facciamo memoria adesso, così la nostra storia è stirata, ferita, lacerata in ogni istante della memoria che ci riporta il fratello lontano, diventando uno strazio insopportabile che ci devasta e non sappiamo ricomporre.

Quando ci accostiamo alle spoglie di chi ci ha lasciato, fratello nella nostra storia, portiamo con noi quattro cose: silenzio, tempo, memoria e presenza.
Silenzio, tempo e memoria sono per noi stessi, e sono il viatico preparato dall’amico che piangiamo, il bagaglio che lui ci ha posto sulle spalle perché non ci manchi nulla di importante nel viaggio che ci attende. Presenza, invece, è il dono che portiamo noi a chi resta, a chi si unisce nel dolore e nel pianto.
Regali per noi, per gli altri; solo per il fratello assente non si portano doni, perché tutto ciò di cui gli si poteva fare dono glie lo abbiamo regalato in vita. Ed anche questo, a volte, è dolore.

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Con abbondanza di silenzio, tempo e memoria, ci incamminiamo verso la meta raggiunta dal caro fratello amato, confidenti che anche per noi sia pronto l’abbraccio di tenere mani, che con gesto silenzioso, trascorso il tempo, ci accoglieranno amorevoli per custodire eternamente nel Mistero il compimento della nostra storia.
15 novembre 2013 – Andrea Piccolo

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