Blog / Lettere | 26 Novembre 2013

Escrivá edito “inedito” – Libertà da e Libertà per…

Ben Schott frequenta spesso in incognito il nostro blog; in passato ha anche scritto qualcosa, ma in genere non ama apparire molto. Mi ha proposto questa nuova rubrica dal titolo: Escrivá edito “inedito”. L’intenzione è quella di condividere con quelli del blog dei testi di San Josemaría Escrivá che, pur essendo pubblicati, non sono citati molto spesso e, quindi, sono meno conosciuti. Ben non vuole screditare nessuno, ma è mosso dal desiderio di conoscere più da vicino un santo dei nostri tempi. Non gli piacciono le agiografie, ma ama profondamente le biografie (e le persone).

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Nella parabola del convito nuziale, il padre di famiglia, dopo essersi accorto che alcuni degli invitati hanno addotto scuse pretestuose, ordina al servo: Esci per le strade e lungo le siepi e spingi a entrare — compelle intrare — tutti coloro che incontri [Cfr Lc 14, 23]. E forse coazione, questa? E violenza contro la legittima libertà della coscienza individuale?


Se meditiamo il Vangelo e riflettiamo sugli insegnamenti di Gesù, non confonderemo questi ordini con la costrizione. Osservate come Cristo preferisce sempre suggerire: Se vuoi essere perfetto… se qualcuno vuoi venire dietro a me… Il compelle intrare non comporta violenza fisica o morale: esprime lo slancio dell’esempio cristiano, che sprigiona la forza di Dio: Ecco come esercita la sua attrattiva il Padre: attrae col suo insegnamento, senza costringere nessuno. Ecco come attrae [Sant’Agostino, In Ioannis Evangelium tractatus, 26, 7].

[…]Vuoi considerare — anch’io mi sto esaminando — se mantieni immutabile e ferma la tua scelta per la vita? Se rispondi liberamente di sì alla voce di Dio, amabilissima, che ti stimola alla santità? Rivolgiamo lo sguardo a Gesù, mentre parlava alla folla nelle città e nelle campagne di Palestina. Non vuole imporsi. Se vuoi essere perfetto… [Mt 19, 21], dice al giovane ricco. Quel ragazzo respinse l’invito e, dice il Vangelo, abiit tristis [Mt 19, 22], se ne andò triste. Aveva perso la gioia, perché aveva rifiutato di dare a Dio la sua libertà.

 San Josemaría Escrivá, Amici di Dio, La libertà dono di Dio

 

Vorrei parlare oggi di “libertà da” e “libertà per” nel contesto dei rapporti con le altre persone, in particolare con quelle di cui siamo amici (ma può valere anche per genitori/figli, fidanzati, mariti/mogli, ecc.): amicizie, fraternità, amicizie più o meno particolari, distacchi vari, attaccamenti. “Attaccamento” è una parola negativa se significa il legame simbiotico, togliersi reciprocamente la libertà, levarsi il fiato da dosso, “senza di te non posso vivere”, e così via; è una parola positiva se indica quei legami esistenziali che danno senso alla mia vita: in questo caso essere “distaccati” dalle persone che amiamo significherebbe solo essere come quei pali delle luce che sono puro scheletro, non alberi frondosi che danno riparo agli uccelli del cielo.

Sto rileggendo per la seconda volta il libro di Eraldo Affinati su Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante ucciso su diretto ordine di Hitler alla fine della II Guerra Mondiale [Un teologo contro Hitler, Mondadori] e mi ha colpito tantissimo una frase scritta da Bonhoeffer in Creazione e caduta”: “Essere libero significa <essere-libero-per-l’altro> perché l’altro mi ha legato a sé. Solo in rapporto all’altro sono libero. Nessun concetto sostanzialistico o individualistico di libertà è in grado di pensare fino in fondo la libertà”. E’ questa una frase che richiederebbe pagine e pagine di riflessioni, ma mi vorrei concentrare solo su un aspetto: la dinamica continua della libertà. Io mi libero da qualcosa per essere libero per qualche altra cosa o per qualcuno, in quanto sono in continuo rapporto con l’Altro. Alla luce dell’idea di Bonhoeffer riesco ad apprezzare ancora di più l’omelia del 1956 di San Josemaría. Non bisogna interpretare in senso statico e temporalmente definito le due frasi “Vuoi considerare — anch’io mi sto esaminando — se mantieni immutabile e ferma la tua scelta per la vita?” e “Aveva perso la gioia, perché aveva rifiutato di dare a Dio la sua libertà”, ma nel senso della dinamica di cui parlavo prima. Lo sforzo è continuo e costante, anche se può andare incontro ad insuccessi. Io posso dare a Dio la mia libertà, ma credo che lui me la restituirebbe immediatamente perché l’amore senza libertà non può esistere. Si tratta di camminare su un filo, stando attenti a non perdere l’equilibrio, che è un equilibrio dinamico e non statico. L’equilibrista quando s’irrigidisce cade: per poter camminare sul filo deve seguire le oscillazioni della fune e tutti i suoi muscoli sono nella giusta tensione elastica, l’opposto della rigidità. Ed è in questa logica che bisogna vedere il distacco, come un essere legato all’altro senza volerlo legare troppo a sé. Volere bene a qualcuno senza privarlo della sua libertà di scegliermi e di tornare ogni momento a scegliermi. E la scelta può essere esclusiva, ma mai escludente. Amare Dio e attraverso di Lui amare gli altri, come ci viene insegnato da Papa Francesco. Il distacco, quindi, non puoi mai esitare in un disinteresse per l’altro, o non dovrebbe. Il distacco è quella giusta – piccola – distanza che mi permette di amare qualcuno senza privarlo della sua libertà. E posso avere tanti amici, anche molto stretti, perché questa tensione mi permette di non essere mai escludente. Ed è tensione, non ansia. Se provo ansia vuol dire che sto dedicando un’eccessiva attenzione a quello che sto facendo, sto solo attento a non sbagliare e rivolgo poca attenzione all’altro, ai suoi movimenti, sono rigido.

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