Blog / Lettere | 31 Ottobre 2013

Le Lettere di Andrea Piccolo – Il segno della continuità

Vorrei parlare di Papa Francesco.
Vorrei parlare di lui e di quei cristiani che rimangono spiazzati e disorientati dal suo modo di fare, dalla confidenza che concede, considerata eccessiva e fuori luogo, e dalla serafica disinvoltura nel violare tutte le regole del protocollo.
Ma è diventato difficile parlare del Papa, tutti parlano del Papa e hanno qualcosa da dire; forse Papa Francesco è l’unico che non parla del Papa.
Vorrei lo stesso rivolgere una parola agli smarriti, che sono tali rispetto al ruolo del Pontefice e non rispetto alla propria fede in quanto tale; per farlo, per non essere totalmente ignorato dai tanti che sono già impegnati a parlare del Papa, invece di Francesco racconterò di un altro Papa:
Il giorno 16 ottobre dell’anno 1978, i Cardinali riuniti in Conclave elessero al Soglio Pontificio Carol Józef Wojtyla, Cardinale di Cracovia, che prese il nome di Giovanni Paolo II.
Il ricordo di quell’avvenimento è per me vivido e indelebile. E’ vero che l’elezione di un Papa ha sempre una fortissima eco mediatica, ma in quel caso la notizia fu decisamente particolare: in primo luogo perché il Conclave si era dovuto radunare una seconda volta a poco più di un mese dall’elezione di Papa Luciani, morto improvvisamente e in modo assolutamente inaspettato, poi perché per la prima volta dal 1523 il Papa non era italiano. Chi non è proprio giovanissimo, sa che i quasi cinquecento anni tra Adriano VI e Giovanni Paolo II si erano tradotti nell’assioma “il Conclave sceglie il Papa tra i Cardinali italiani”. La notizia dell’elezione di un Papa polacco, oltretutto in un’epoca di guerra fredda alquanto scottante, fu la proverbiale notizia “bomba” che esplode in redazione, e sui giornali non bastavano le colonne per i titoli.
Sul sito del Vaticano c’è una biografia, molto ben condensata, da cui emerge il lavoro titanico di annuncio, apostolato e preghiera svolto dal grande Papa (accessibile qui).
Un tratto che sicuramente lo distinse fu l’annuncio della verità senza compromessi e senza sconti e noi, che lo abbiamo conosciuto, possiamo testimoniare che le parole pronunciate nell’omelia di inizio Pontificato tracciarono allora la sua missione e descrivono oggi il suo operato:
“Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!
Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera!
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna”
La forza delle sue denunce del peccato, delle ideologie, dei mali contemporanei, della guerra, fu superata solo da quella dell’incondizionato appello alla sequela.
Chi guardando a Papa Francesco rimpiange la figura del grande Giovanni Paolo II, se non è giovane, probabilmente dimentica che l’effetto dirompente sui media e sull’opinione pubblica fu si causato dall’elezione di un Papa straniero, ma non si spense per un bel pezzo, per via delle sue chiacchierate stravaganze che causarono sconcerto tra i fedeli.
Alla prima sorpresa per l’esito del Conclave, presto si affiancarono al consenso i distinguo e le critiche per i viaggi apostolici, che non avevano nulla delle tradizionali visite pastorali e pellegrinaggi che ci si sarebbe aspettati da un Papa, né per impostazione, né per frequenza. L’elezione al Soglio Pontificio doveva avergli dato alla testa, al punto di farlo credere un San Paolo redivivo, che se ne va a destra e manca in tutto il mondo conosciuto per annunciare il Vangelo. Dopo trenta anni di viaggi apostolici e di popolarità indiscussa del grande Papa, è difficile dare l’idea del disagio palpabile che si manifestava in alcune frange non trascurabili del popolo di Dio. Ma che gli era preso? Perché non se ne stava in Vaticano a fare il Papa invece di vagabondare come un turista? E a proposito di turismo, lasciamo correre la sortita in incognito fuori dalle mura vaticane, per fare da cicerone al segretario particolare che non aveva mai visto Roma, ma che dire dell’idea di andarsene alla chetichella a sciare sull’Adamello, e non una volta ma sistematicamente per anni? Possibile che non si rendesse conto di come stava danneggiando l’immagine sacrale dell’autorità Pontificia? Quale credibilità poteva conservare agli occhi del mondo, quale baluardo poteva rappresentare per i credenti? Queste le domande e le osservazioni che circolavano ancora nei primi anni ’80.
Nel confronto, parrebbe invece che ne esca bene Paba Benedetto XVI, avversato solo da chi della Chiesa si dichiara fuori.. se non fosse per quella storia della rinuncia che, anche se per poco, lo ha fatto accostare a “chi fece per viltade il gran rifiuto”. Da notare che il commento “Dalla croce non si scende”, riportato come il punto di vista di Papa Giovanni Paolo II sulla possibilità di rinunciare, sia stato pronunciato dal Cardinale di Cracovia Stanislaw Dziwisz, che all’epoca in cui era segretario particolare di Papa Wojtyla si adoperò per organizzargli la chiacchierata vacanza sugli sci. Da notare perché mostra come il gudizio sulle cose possa cambiare profondamente conoscendole da dentro.
Due giorni dopo l’elezione di Papa Francesco, nel pieno dell’esaltazione collettiva per questo Papa che si orna di un crocifisso povero, paga il conto dell’albergo e si mostra pieno di attenzioni per tutti, intervistarono il regista Pedro Almodovar chiedendogli se fosse contento. Lui rispose di non essere soddisfatto, “perché si tratta di un Papa nel segno della continuità”.

Il segno della continuità:

Il Cardinal Ratzinger in Vaticano è stato il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ma anche il caro amico e confidente di Papa Giovanni Paolo II. Tra loro vi è stata una vicinanza dovuta a ruoli istituzionali, ma anche una unione di cuori. La tenera amicizia e il profondo affetto, germogliati negli anni di vicinanza e radicati in quelli di malattia di Papa Wojtyla, emergono evidenti alla cerimonia funebre di questo quando il Cardinale Ratzinger, il colosso della teologia rigorosa e cristallina, ricorda con tenera commozione il suo amato Papa. Il Papato di Benedetto XVI affonda le radici in quello di Giovanni Paolo II non solo per una continuità dottrinale e pastorale, ma anche, e forse soprattutto, per una visibile, intensa e lunga vita condivisa in una comunità residenziale, non istituzionalizzata ma indiscutibilmente palese.

Il segno della continuità:

Il Papa che promette obbedienza al suo successore. Il Papa che raccoglie rispettosamente il lavoro del Papa emerito, e firma, e pubblica una enciclica che è una preghiera. Due Papi che scrivono all’uomo simbolo del mondo sociopolitico e all’uomo simbolo del mondo scientifico, e ne sono ringraziati, e risvegliano l’attenzione del mondo tutto. Papa Francesco e Benedetto XVI che si incontrano, e si abbracciano, e pregano insieme.

Singolare azione dello Spirito in questi tempi di dubbi tormentosi e verità latenti, che sembra voler soccorrere la mia fragile fede, con l’evidenza visibile della Sua continua azione alla guida della Chiesa.

“Anche chi si dispone a navigare e a solcare onde selvagge
Implora un legno più fragile della barca che lo porta.
Questa infatti fu inventata dal desiderio di guadagni
e fu costruita da una saggezza artigiana;
ma la tua provvidenza, o Padre, la guida
perché tu hai predisposto una strada anche nel mare,
un sentiero sicuro anche fra le onde” Sap 14,1-3

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