Giovanni Paolo II – Il dono del timor di Dio (7)
1. Al rientro dal pellegrinaggio apostolico nei paesi dell’Europa settentrionale, sul quale ritornerò prossimamente per esporre alcune mie considerazioni, vi chiedo fin d’ora di ringraziare con me il Signore per quanto mi è stato dato di compiere in conformità alla missione pastorale che mi è affidata.vOggi desidero completare con voi la riflessione sui doni dello Spirito Santo. Tra questi doni, ultimo nell’ordine di enumerazione, è il dono del timor di Dio. La Sacra Scrittura afferma che «principio della sapienza è il timore del Signore» ( Sal 111[110],10; Pr 1,7). Ma di quale timore si tratta? Non certo di quella «paura di Dio» che spinge a rifuggire dal pensare e dal ricordarsi di lui, come da qualcosa o da qualcuno che turba e inquieta. Fu questo lo stato d’animo che, secondo la Bibbia, spinse i nostri progenitori, dopo il peccato, a «nascondersi dal Signore Dio in mezzo agli alberi del giardino» ( Gen 3,8); fu questo anche il sentimento del servo infedele e malvagio della parabola evangelica, che nascose sotterra il talento ricevuto (cfr. Mt 25,18.26). Ma questo del timore-paura non è il vero concetto del timore-dono dello Spirito. Qui si tratta di cosa molto più nobile e alta: è il sentimento sincero e trepido che l’uomo prova di fronte alla «tremenda maiestas» di Dio, specialmente quando riflette sulle proprie infedeltà e sul pericolo di essere «trovato scarso» ( Dn 5,27) nell’eterno giudizio, a cui nessuno può sfuggire. Il credente si presenta e si pone davanti a Dio con lo «spirito contrito» e col «cuore affranto» (cfr. Sal 51[50],19), ben sapendo di dover attendere alla propria salvezza «con timore e tremore» ( Fil 2,12). Ciò, tuttavia, non significa paura irrazionale, ma senso di responsabilità e di fedeltà alla sua legge.
2. E’ tutto questo insieme che lo Spirito Santo assume ed eleva col dono del timore di Dio. Esso non esclude, certo, la trepidazione che scaturisce dalla consapevolezza delle colpe commesse e dalla prospettiva dei divini castighi, la addolcisce con la fede nella misericordia divina e con la certezza della sollecitudine paterna di Dio che vuole l’eterna salvezza di ciascuno. Con questo dono, tuttavia, lo Spirito Santo infonde nell’anima soprattutto il timore filiale, che è sentimento radicato nell’amore verso Dio: l’anima si preoccupa allora di non recare dispiacere a Dio, amato come Padre, di non offenderlo in nulla, di «rimanere» e di crescere nella carità (cfr. Gv 15,4-7).
3. Da questo santo e giusto timore, coniugato nell’anima con l’amore di Dio, dipende tutta la pratica delle virtù cristiane, e specialmente dell’umiltà, della temperanza, della castità, della mortificazione dei sensi. Ricordiamo l’esortazione dell’apostolo Paolo ai suoi cristiani: «Carissimi, purifichiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a termine la nostra santificazione, nel timore di Dio» (2 Cor 7,1).
È un monito per noi tutti che talvolta, con tanta facilità, trasgrediamo la legge di Dio, ignorando o sfidando i suoi castighi. Invochiamo lo Spirito Santo, perché effonda largamente il dono del santo timor di Dio negli uomini del nostro tempo. Invochiamolo per intercessione di colei che, all’annuncio del messaggio celeste, «rimase turbata» ( Lc 1,29) e, pur trepidante per l’inaudita responsabilità che le veniva affidata, seppe pronunciare il «fiat» della fede, dell’obbedienza e dell’amore.
Angelus, Domenica, 11 Giugno 1989