Alessandro D’Avenia – Un racconto ispirato ad Abelis
Alessandro D’Avenia scrive sul suo blog: “Una rivista mi ha chiesto di scrivere un breve racconto natalizio basato su uno dei cinque sensi (la vista). Io ho provato, ispirato da una pagina del libro di un amico (M.Leonardi, Abelis), che ho letto recentemente e che vi consiglio. A farmi compagnia per gli altri quattro sensi ci sono Erri De Luca, Michela Murgia, Anselm Grün e Marina Corradi.” (Alessandro D’Avenia è autore dei due romanzi best seller “Bianca come il latte e rossa come il sangue”, “Cose che nessuno sa”)
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Con questa pagina, caro lettore, ti auguro Buon Natale e ti ringrazio per tutto quello che mi hai dato in questo 2012. Non avrei mai immaginato tanti lettori per i miei libri e per questo blog, né tanta gratitudine. Se potessi ti ringrazierei di persona, ma non posso, anche se con una pagina so quanto si possa essere vicini, entrando attraverso gli occhi a poco a poco nel tuo cuore e nella tua mente, e farsi spazio lì dove a volte sembra non ce ne sia (per paura, per pigrizia, per noia, per sospetto o distrazione), e starsene in silenzio insieme a condividere l’inizio di una bellezza che sarà un giorno senza fine. Bellezza della quale, come te, ho una grande nostalgia. Perchè anche io a volte mi sento orfano come te, di questa bellezza che non finisce.
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Destinatario sconosciuto
Stefano Occhipinti è un postino che fa le sue consegne in bicicletta, anche quando nevica. E in questo Natale di crisi la neve si è accanita contro le strade della città, quasi potesse lavarle definitivamente. Ma si sa che la città degli uomini è troppo polverosa per essere lavata dalla neve. Il 24 dicembre è l’ultima giornata di lavoro dell’anno. Stefano solca la neve lentamente e sul suo volto c’è la stanchezza buona di un lavoro compiuto. Stefano ha imparato da suo padre che nella vita non è importante la parte, ma la recitazione. Che tu sia Re, Buffone o Postino, quel che conta è che tu sia un bravo Re, Buffone o Postino. Per lui essere un buon postino è portare le lettere al destinatario, anche quando ne è rimasta solo una e si è fatto tardi e si potrebbe rimandare al giorno dopo.
E in fondo al sacco ne è rimasta una.
Stefano è rimasto solo con la neve. La gente ha già acceso le luci colorate della vigilia e le facciate dei palazzi sembrano aver perso la loro ordinaria e ripetitiva tristezza.
Legge sulla busta: non c’è l’indirizzo. C’è il francobollo e c’è una lettera da un foglio a giudicare dal peso della busta, conosce bene il suo mestiere, le sue dita sanno determinare il contenuto di ogni busta dal solo peso. Ma purtroppo la busta è bianca come la neve che, nuova, si poggia sulla vecchia.
Stefano è un postino a fine giornata, il 24 dicembre. La neve continua a cadere e lo trasforma in un fantasma nel buio. Ha una busta senza destinatario. Il suo turno è finito. Si avvicina ad un cestino per buttare la lettera. E se fosse una lettera importante? Se ne dipende qualcosa di vitale, in quel Natale?
La apre. Spiega il foglio e legge:
…ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,
ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,
ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,
ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,
ti amo,
ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,
ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo,
ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo…
Si ferma perché quella parola è scritta sul fronte e sul retro di quel foglio centinaia di volte e assomiglia ad una poesia, dal momento che gli a capo non sono regolari. Guarda i fiocchi di neve, che – si sa – sembrano tutti uguali, ma a guardare bene si scopre che non uno è uguale all’altro, perché ciascuno dispone i suoi cristalli in modo perfettamente geometrico, ma sempre nuovo e diverso. Un caos ordinato, o un ordine caotico?
Stefano riprende a leggere. Anche se c’è scritta una sola cosa, ogni «ti amo» ha una grafia leggermente diversa, ora una «t» è più lunga, ora una «o» più arrotondata, ora una «a» più schiacciata, ora una «i» più slanciata. Come se ogni «ti amo», apparentemente uguale all’altro, fosse unico e nuovo a saperlo scrivere e a saperlo leggere come si deve. Ma per vedere certe cose bisogna averci gli occhi aperti. Spalancati. E questo Stefano lo sa, perché se c’è una cosa che il suo mestiere gli ha insegnato è che l’essenziale è leggere bene nome e cognome e indirizzo su una busta.
Dopo l’ultimo «ti amo», non c’è scritto più nulla. Follie da innamorati. Neanche una firma. Anzi al posto della firma, in basso a destra galleggiava un altro «ti amo». Quasi fosse quella la firma, il nome e il cognome del mittente.
Stefano alza gli occhi dal foglio e li costringe a ripercorrere al contrario la caduta dei fiocchi come chi cerca la sorgente di un fiume. Si perdono, fiocchi e occhi, nel cielo buio e compatto della vigilia, come se si potesse spaccare da un momento all’altro. Tutto sembra così simile a quella lettera in quella notte. Tutto è così calmo in quella notte. Tutto è così consueto e nuovo in quella notte. Come un «ti amo» pronunciato all’infinito, ma sempre diverso. Basta guardare la neve cadere dal cielo nelle proprie mani.
L’essenziale è visibile agli occhi.
Il racconto è pubblicato su Prof 2.0 – Il blog di Alessandro D’Avenia