Antonio Tommaso
Blog / Lettere | 27 Ottobre 2012

Lettere – Essere e tempo

La “pienezza del tempo” è l’espressione sintetica che san Paolo utilizza nella lettera ai Galati per dipingere un mondo “in attesa”: il mondo di duemila anni fa che, nell’attesa, si affannava a farsi censire per obbedire all’ordine di Cesare Augusto e si affannava, ne sono certo, a fare mille altre cose. “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”.

Anch’io – posso dirlo con un certo orgoglio – sono nato nella pienezza del tempo. Mia madre, vi assicuro, la pensava (e la pensa) così. Quando se ne ebbe notizia (della mia futura nascita) tutto il mio mondo cominciò ad aspettarmi senza sapere bene cosa dovesse aspettarsi da me. E come poteva! Tuttavia sospettava che ci fosse bisogno di me. Alla mia gente io mancavo prima ancora di nascere fino a quando, un bel giorno, il mio tempo si aggiunse a quello di coloro i quali “erano” prima che io “fossi”.

Che cos’è il tempo, visto dall’eternità? E’ un’invenzione umana. Un’astrazione concettuale utile per unificare i tanti “tempi” che ogni persona che viene al mondo riceve in dono. “In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo ”. E’ sempre san Paolo che parla, stavolta agli Efesini, per spiegare loro che l’eternità è il nostro habitat naturale. E’ da lì che il nostro tempo ha origine ed è lì che vuole ricondurci.

Questo concetto cristiano del tempo fu una novità per il mondo antico, una novità travolgente. Il Dio cristiano non sconfisse Giove, Saturno, Venere, sconfisse il “fato”, questo demone che, pur consentendo ad ognuno di godere di una apparente libertà, incatenava la persona al proprio destino e, in fondo, rendeva inutile ogni scelta personale, rendeva inutile la vita nel tempo.

Il tempo invece è un’occasione che ogni persona ha per decidere ciò che vuole essere per l’eternità. Siamo fatti così, in cammino verso ciò che vogliamo essere, verso quell’istante decisivo in cui tutto sarà compiuto, in cui l’attimo presente rivelerà a ognuno il senso di tutta la sua vita passata. Quel giorno ciascuno capirà che per arrivare al suo presente, quello che lui ha voluto, non c’era strada migliore. E ognuno si accorgerà di essere riuscito nei suoi intenti. Ma il suo presente gli piacerà? Lo renderà felice? Oppure la sua vita sarà stata tempo sprecato? Eternamente inutile?

Con mia moglie ci incontriamo la sera, dopo giornate di lavoro. La cena è il momento nel quale parliamo. Mia moglie sta là, a raccontarmi le mille cose che le sono capitate, le persone che ha incontrato, nell’attesa e nella speranza che questo serva a conoscere i particolari delle mie giornate. “E a te, com’è andata oggi?”. Le mie risposte, di solito, sono così sintetiche da meritare i suoi rimproveri: “Sei stato fuori dieci ore e tutto quello che mi sai dire si esaurisce in un minuto?”.

Ogni tanto mi viene da pensare: cosa ho fatto nei tanti minuti della mia giornata che non le ho raccontato? Con chi sono stato? Perché sono così portato a credere che tanti istanti delle mie giornate, in fondo, non interessino a nessuno?

La parola “provvidenza” è, nella lingua italiana, di genere femminile. Qualcuno la confonde con la parola “destino”, ma si sbaglia: essa vuole rendere utile ogni istante del nostro tempo, al contrario del destino che condanna ogni istante all’inutilità. Essa esprime l’azione divina nella storia, azione che vuole porre il nostro mondo, continuamente, in attesa delle nostre scelte.

Questo desiderio di pienezza, che la Provvidenza condivide con mia moglie, ha molto a che vedere con la mia felicità: so che è così.

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