Blog / Sandokan | 19 Novembre 2015

Le Lettere di Sandokan – Solo amici

Ciao Giulia,
ieri ho pensato a te e oggi ho deciso di scriverti, per raccontarti tutto. Perché temevo di dimenticare. Ho quest’abitudine, forse non te l’ho mai detto. Quando qualcosa mi colpisce, non vedo l’ora di scriverla. Perché ho paura di dimenticarla (alle volte ci dimentichiamo di noi stessi). Ogni tanto poi rileggo questi frammenti di pensieri e quasi mi sorprendo che mi appartengano, anche se finisco sempre per riconoscerli, perché portano il mio marchio.
Tra qualche giorno andremo a trovare un po’ di gente, io e te, e mi sono ritrovato a chiedermi come dovrei presentarti a loro, che non ti conoscono e che conoscono poco anche me. Potrei dire semplicemente che sei “un’amica”? Certo, ma cosa vorrà dire per loro tutto questo? Temo meno di quanto voglia dire per me.
Lo sai, fin da ragazzo ho sempre avuto quasi paura a descrivere la personalità e anche i lineamenti di chi amo – soprattutto quando chi amo è una donna – a degli estranei. Pensa se mi mettessi a parlare di te, raccontando a qualcuno che sei alta o che hai gli occhi castani, giusto per aiutarlo a riconoscerti (magari ti conosce). Una volta l’ho fatto con un tipo e mi son sentito rispondere – certo, era una battuta – che lui preferisce quelle con gli occhi azzurri. Ma che m’importa di quello che preferisce lui? Non volevo paragonarti a nessuno. Volevo solo che ti riconoscesse e che sorridesse.
Se dico che sei “un’amica”, si potrebbe non dare troppa importanza alla cosa. Direbbero che sei “solo” un’amica. E invece tu sei importante per me, e ho voglia che si sappia.
Il fatto è che dell’espressione “un’amica” a me l’articolo indeterminativo comincia a non bastare. Ma non posso certo sostituirlo con quello determinativo: anche “l’amica” non va bene. T’immagini i “sorrisini”? Non li potrei sopportare. Purtroppo però abbiamo solo gli articoli determinativi e indeterminativi.
Ecco, a questo pensavo ieri, al fatto che non abbiamo tutti gli articoli che ci servirebbero. Non ridere, è vero.
Anni fa lessi che una persona, raccontando di una relazione che cresce in amore, si accorse di non avere più le parole per descriverla. Gli restavano i “dolci palpiti”, così li chiamava. Ho capito solo adesso quello che voleva dire, anche se le sue parole le ho ripetute mille volte.
Finirò per dire loro il tuo nome e basta. Lei è Giulia. Questo dirò. Così anche loro ti chiameranno come ti chiamo io, anche se soltanto perché io ho detto loro come ti chiami. Non è molto, ma è un inizio. Che se la sbrighino loro a capire chi sei, per me. Forse a loro neanche interessa, però sbagliano. Senza di me si perderebbero qualcosa, di te, che non gli potrà rivelare nessuno. A me piacerebbe usare una parola, per descriverti, che mi contenesse in qualche modo. Ma come si fa? Questa parola, qual è?
Ecco, i miei pensieri di ieri sono nati da qui, ma poi si sono allargati. Perché a Messa il prete si è messo a parlarmi di “volontà di Dio” e io subito a chiederla a Dio, questa parola che non conosco. Questa parola che vorrei regalare ad altri.
È uno strano pensiero, lo so. Non mi va neanche tanto di parlarne, perché potrebbe accadere che qualcuno mi suggerisse che è “volontà di Dio” che io non abbia questi pensieri durante la Messa. O che è meglio non avere un’amica come te.
C’è un sacco di gente che sembra sapere quale sia la “volontà di Dio” per me. A loro non servono i miei racconti per darmi consigli. Anzi, aspettano che io la smetta di parlare, per dire la loro. Si terrorizzerebbero davanti a queste parole. E allora è meglio non dir loro nulla. A che servirebbe?
Ma a te lo dico: su questa storia della “volontà di Dio” ieri ho capito una cosa. Che la “volontà di Dio” non è in lotta con la “mia”, non sempre almeno. Invece è come un innesto su ciò che di buono voglio e faccio nella mia vita. Ciò che io voglio di buono (per esempio sussurrare a tutti il tuo nome legandolo al mio) è come se lui lo volesse “perfetto”.
Ecco un’altra parola, “perfetto”, che non neanche spiegare.
Parlare di perfezione è difficile, da imperfetti, quali siamo, però so che è qualcosa che allarga il cuore, che lo rende più accogliente, che non lo rinchiude verso i nostri obiettivi e però li comprende, li rinnova, li ingrandisce … li perfeziona, appunto. Tanto che quasi tu non li riconosci, a mano a mano che il tempo passa. Capisci solo che non possono essere soltanto tuoi perché tu non sei capace di tanta bellezza.
Eppure sai che tutto è partito da te, da un tuo amore “piccolo”, di cui importava soltanto a te, che però hai sempre chiamato come ti sembrava giusto chiamarlo nel momento in cui lo vivevi. Hai sempre fatto caso a dargli il nome giusto, senza timidezze, davanti a chi aveva voglia di guardarlo con te.
A me quasi sembra che, da questo amore piccolo, insignificante, a cui si cerca di dare un nome sempre nuovo, giorno dopo giorno – con l’aiuto di chi vede qualcosa di ciò che vedi anche tu – si finirà per capire, finirò per capire, ciò che ho sempre voluto sapere di me, e che ho a lungo cercato nei libri, o nella vita degli altri.

Ti abbraccio