Blog / Lettere | 25 Ottobre 2014

Le Lettere di Paolo Pugni – La visita di Natale

Premessa: la nostra parrocchia è così ampia, oltre 40.000 famiglie, che da un po’ di anni a questa parte, complice la penuria dei preti –ormai da noi c’è una comunità pastorale che sembra una squadra di calcio, gioca con il 4-4-1-1: 4 parrocchie 4 coadiutori 1 parroco 1 sacerdote ospite- è stato affidato ai laici il mandato di portare il segno del Natale nelle case. Si va a due a due come i discepoli, portando il cero benedetto, una preghiera e l’augurio di Buon Natale. Si bussa, ti aprono, inviti a recitare il Padre Nostro, scopri un mondo, richiudi la porta, tu sei sicuramente più ricco, loro si spera.
Mia moglie si fa carico di questo servizio per 6-7 sere ogni anno –che non dimentichiamo di essere a Milano e se vai prima delle 18.30 trovi solo i pensionati, se vai dopo le 20.00 rompi le scatole alla gente-  e trascina con sé uno per uno i membri della famiglia e le vicine.
Il fatto: mi fermo dal custode, che non c’è (“torno subito”), per ritirare un pacco. Ci sono altre due persone in attesa. Una è la simpaticona del comprensorio, una che appena arrivati 22 anni fa, quando Franca scarrozzava la terzogenita appena nata le era andata a dire, così senza neanche presentarsi, se non si vergognava ad avere tre figli che faceva del male all’umanità. L’ho incontrata lo scorso anno nel giro delle benedizioni –vedi sopra- e m’aveva fatto pena. Casa sporca, trasandata. Piangeva. Il marito era morto da poco meno di un mese. Il figlio… beh meglio lasciar perdere. C’ha tenuto un quarto d’ora a lacrimare.
Mi si avvicina secca, non dice buongiorno, dice “ma secondo lei è normale avere un custode solo per distribuire la posta mezz’ora al giorno? Siamo gli unici a Milano!” affermazioni che contengono più menzogne che la prima pagina del CorSera e ho detto tutto. Provo ad obiettare ma lei rincara “e poi questo sostituto, che come l’altro va sempre a bere il caffè, è straniero e non sa neanche leggere l’italiano!” E stavolta ci sta pure il reato di razzismo a voler essere pedanti. Poi mi guarda e spara “ma lei chi è? dove abita? È il papà di chi?” Come se la personalità si identificasse da quali sono i tuoi figli, ma passi anche. Glielo dico. Mi raffica addosso “Non l’avevo mica riconosciuto. È invecchiato tanto sa!”.
E qui ti parte l’embolo. Mi parte l’embolo. Ed è solo la codardia a farmi tacere che di risposte secche, sferzanti, me ne vengono in mente a manciate, del tipo “io invece l’avevo riconosciuta subito sa? Sempre la stessa imbecille!” oppure “sa, meglio invecchiato che morto!”.
E torno a casa pensando a mille altri modi con i quali ferirla e che da questa qui io quest’anno mica ci vado a portarle il cero benedetto.
Poi. Poi.

Conclusione: poi ti chiedi, ma se io dico di esser cristiano e praticante, se io pretendo questo, in che cosa si vede la differenza da persone come queste che da fuori danno l’idea di una aridità senza fine? Se io anche solo per presunzione –che è male lo so, ma è uno stimolo al bene diciamo così- voglio essere diverso da lei, è proprio qui che devo fare la differenza. Amare anche lei, che adesso prendo come paradigma delle persone antipatiche che ci stanno vicine e ci sfidano, ci mettono alla prova. Devo pregare per lei. Devo sorriderle. Devo essere fermo nei principi ma dolce nei modi. E tornare a trovarla per Natale e ascoltarla e capire il suo dolore e dimenticare queste ferite che sparge in giro come faceva mia madre e scoprire che forse è lei che devo perdonare per prima perché ormai sta là dove può pregare per noi e aiutarmi a superare queste passerelle sui precipizi. Si fa fatica. Voi come ce la fate?